Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929
260 M. Moretti oianco camelia. Ah no, ah no! Dopo l'avvento di D' A.in.nunziosul palcoscenico, tutto questo no[l basta più. Ci vuol altro! Utn oforno facemmo una passeggiata fuor di città. Ma per me o . . non esistevano passeggiate : eram tutti devoti •pellegrmagg1 per quelle vie e per quelle erte seg[late dai difficili, incomprensibili ci– pressi. Chiamateli come volete, ceri votivi, lance, alabarde, ma quei cipressi erano 1I1ecessarialla nostra religione, ch'era, si sa, la Bel– lezza. Perché se c'è u!Il albero irntellettuale e che alla sua cultura e alla sua raffirnatezza ci tiene, questo è il cipresso subito fuor di ]l'irenze. Quando giungemmo in capo all'erta ,più faticosa, feci fermare il mio amico per mostrargli a traverso alberi e fro[lde, di là dalle cieche muraglie, quella strana dimora che, per quel che se ne poteva scorgere di lì, tetto e :finestrirne di solai, pareva una vecchia bicocca a:ffomlata 1I1ella collina. Era la Cappo!Ilcina. La Primavera passando di li, forse per incontrarsi oo!Il· la sua divina sorella, la Poesia, aveva scritto sl!l.llamuraglia, dentro un fregio di glicirne o di vi– talba : OLAVSVRA. E pareva non ci fosse altro di stupefacente all'intorno che la magia di quella parola. Ma chi poteva dire come fosse l'irnterrno dlella straordirnaria catapecchia e di che fossero co– perti i ,suoi vani, di qual materia fossero i tappeti, i cuscini, le stoffe ? Strane dovevamo essere le suppellettili in quella penombra quasi di cripta ove s'alzavano disordinatamente qua e là bizzarre forme ,di leggii, candelabri, torcieri, e da per tutto, dicevasi, oggetti· da chiesa irn effluvi densi d'incernso, statue greche, interi pezzi diPartenone, il mezzo busto di Niccolò da Uzza.no che ci aveva fatto quasi paura al Bargello, ed eoco la camera del poeta che pareva u!Ila camera mortuaria, con un lettuccio simile a una bara. Fuor della casa, oltre il muretto a secco, si udivano strane voci: latravrun cami, nitrivrun cavalli. Proseguernd!o la strada sonora, tutta di pietra, incassat.a fra i muriccioli <fui poderi, io recitavo fra me nel mio cer– vello l'invettiva di Ostasio o tubavo l'ingenua p,ena di Samaritama, piccola sorella, finché giungemmo al termine del muretto là dove si apriva la porticina rustica co!Il sopra una madonnina robbiesca sbocco!Ilcellata, pochissimo dannunziana, che aveva sul capo le due prime parole della salutazione angelica, ma del più smorto blù di terracotta. Povertà, misticismo umnissimo dopo lo sfarzo del misti– cismo ,quasi sacrilego. C'era ilil quel punto amche uno scamd'aloso odor. di basilico o di pepolino. Ora mi pare che !Ilel podere di là della Oapponcina, un uccellino pascoliamo pigolasse quasi a rifare il verso, per contrasto, al sera;:fiooantagooista del padron di casa fratello maggiore e mirnore. ' Dirimpetto alla porticina rustica c'era l'irngresso d'una bicocca t8!Ilto più piccola, più irn vista questa, con un portale quasi di chiesa, ermetica, disabitata e col nome suo di Porziuncola. Non BibliotecaGino Bianco
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