Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929

C. PELLIZZI, _Le lettere italiane del nostro seeolo 379 ma è ben ricòrdata. Vita e letteratura: « Tutti in Italia, dopo il fu– turismo, sono stati fanatici del fare, arcifare, buttarsi al nuovo; né altrettanti sape,vano chiaramente che cosa meritasse di esser fatto. E ci fu più idolatria della volontà che non volontà vera e propria. » (pag. 224). Modernità e arte: « L'arte non esprime l'originalità e la modernità, bensì le pone in essere, le crea: e le realtà cosi create rimar– ranno originali e moderne per sempre.» (pag. 344). Classicismo: « Clas– sico, di quel classicismo eterno che è perfetta adesione dell'uomo alla ,sua opera, persuasione dell'uomo nell'opera.» (pag. 382). Poeta crepusco– lare; « Incapacità sia a sostenere un tèma come ad abbandonarlo » (pag. 259). I modernisti: « Gente che voleva smontare la cattedrale di San Pietro per sostituirla con tende da campo.» (pag. 89). Infine, uno schizzo: « Il Coselschi di Arezzo è un dannunziano giurato.>> (pag. 87). Guardia campestre della provincia? Come oggi usa, il Pellizzi è più felice nella critica morale che nella letteraria. (Lui invoca ,Serra, ma certo sbattimento di idee, molte in– sistenze, e curiosità ricorda-no se mai Prezzolini o Missiroli). Raro che egli non colga il punto moralmente debole, il difotto di carattere di uno scrittore; rarissimo però, ·se altri non l'aiuta, che scelga la pagina. buona, che azzecchi giusta la citazione. E anche le migliori sue facoltà di cL'itico spesso agiscono ciascuna per sé, e non di conserva : qui egli è buon giudice, li è ritrattista felice, qua rode con l'analisi, là giuoca di fantasia. Ma ogni qualità fa da sé. Manca al P.ellizzi quella unità com– plessa, quel sereno riposo, quella, direi, umana e letteraria euforia, senza di cui non è vera critica. Già, ma c',è poi tra noi qualcuno che la possiede? Fi~iamo che il Pellizzi fosse un capomastro : aveva in proprio scienza e materiale giusto per fabbricarsi una casetta, un villino; ha .voluto invece tirar su un grattacielo; e il disegno, i sassi, la rena, i cotti, i travi che gli mancavano, li è andati a raccapezzare un po' da per tutto. Che cosa deve fare un lettore, un critico di buona volontà? Ritagliare idealmente nel grattacielo la casetta, il villino. Il grattacielo è di tutti e di nessuno; ma quella soglia, quel balcone, quella cantonata, quella fila di ,finestre son tirate à, modo, sono disposte a garbo; li c'è grazia là c'è estro; e n'è autore il Pellizzi, il merito è suo. M~ qualcuno, a questo punto, resta deluso. Non a caso, il Pellizzi, perfido e gaio, ha fatto uscire il suo librone di agosto : ha sciupato il mare, il monte o la collina, almeno a cento scrittori. - Che cosa dice il Pelizzi di A ? come tratta B ? quante righe de– dica a C ? Come concia D ? E lei, signor critico del critico, perché non corre ai ripari ? perché non difende ? perché non accusa ? perché non dice la sua ? I nomi ! i nomi ! Intorno al libro c'è già tutto un passeraio. Ma il sole è nella Ver– gine, troppo vi~ino ancora, e fa ca,ldo. I nomi li faremù alla rinfrescata. PIETRO p ANCRAZI. BibliotecaGmo Bianco

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