Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929
376 C. PELLrzzr, Le lettere italiane del nostro secolo nuovo. Premette il Pellizzi: « L'epica esprime i moti dell'uomo in quanto egli vuole, e la lirica in quanto egli riflette. » Ne scendono varii corol– larii: « Tutti i poeti passano il loro quarto d'ora epico.>> Oppure: « Pa– scoli non è mai drammatico, Pascoli non è mai lirico, Pascoli è un poeta epico. >> Il Piccolo mondo antico è «un'epopea>> ; il poeta Zucca è « un epico non troppo disilluso >> ; « la poesia di Camillo Sbarbaro ha un re– siduo epico e un andamento spesso dramm_atico >> ; « il Leonida di Caval– lotti non finisce di persuadere in fatto di epicità.>> Non vi basta? Sibilla Aleramo poetessa dell' « immediata carnalità», di diritto è epica an- . ' che lei. D'accordo col Pellizzi: le parole sono fatte per servire agli uomini e, non gli uomini alle parole; ma ora che il Pascoli, lo Zucca, lo Sbar– baro, il Fogazzaro, il Cavallotti, Sibilla Aleramo, e, per « un quarto d'ora», tutti i poeti sono epici, mi dica il Pellizzi, e Omero adesso come lo chiamiamo ? Dice altrove il critico: « Il Carducci ha qualcosa dell'arcade, come ha qualcosa dell'arcade il Tommasèo. >>Non dico, cosi affermando il cri– tico avrà in testa un'idea giusta, ma allora che cosa diremo allo Zappi, al Rolli, al Crudeli ? Anche del concetto storico di «lingua» (che, secondo l'estetica idea– listica,, ,è_poi un'idea di comodo, una figura di convenzione) temo che il Pellizzi faccia uso nuovo; certo, uso contraddittorio. A pagina 123 del libro, si celebrano i funerali della lingua italiana con questo salmo si– billino : « La nostra lingua, in quanto conserva il vecchio corpo, ne ha perduta l'anima; e in quanto ha un'anima rinnovata, ha bisogno di rin– novar,si anche il corpo.>> Requiescat. Ma ecco che subito dopo, nella stessa pagina, questa lingua morta, con arditissima immagine, va a spasso per il mondo, e in buona compagnia: « Questi n9stri viaggiatori– scrittori.... prendono per mano la lingua tramandata e la portano in giro perché impari a muoversi, che è una delle condiztoni del saper vivere. >>E, alla pagina 242, questa stessa lingua non sarà più morta, non andrà nemmeno per il mondo, tenuta per mano da Appelius o da Monelli, eccola che non s'è mai mossa di li dove nacque: « I Vociani osarono dare espressività tutta moderna al loro vecchio e nobile to– scano, mostrando come quella lingua fosse ancora ben viva. >>Un passo ancora e, alla pagina 322, gli stessi Vociani, alla lingua hanno « ri– fatta una verginità.>> Insomma la lingua italiana è morta o è viva? Sta a casa o gira il mondo tenuta per mano da Calzini e da Fraccaroli ? È sempre nubile o si lasciò coniugare ? L'abito del contraddirsi è nel PeUizzi cosi radicato che a volte un periodo solo contiene il bianco e il nero, il si e il no. Il Pellizzi dice molte cose giuste, (talora un po' spinte) sul necessario regionalismo della nostra letteratura. Ma alla pagina 417 ribadisce tutto e insieme tutto nega: « L'Italia letteraria non è una sintesi, è una confederazione tenuta insieme dalla tradizione di alcuni grandissimi letterati i quali seppero trarre dal molteplice l'uno, seppero creare una sintesi italia– na .... >> Insomma, ,è una sintesi o una confederazione ? In tendami chi può che m'intend'io. A questo punto il lettore che ha sentito parlare cli centinaia_ di BibliotecaGino Branco
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