Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929
• I Ricordi dannunziani 259 .sul petto come urn condannato al Sllipplizio. Oggi ~i àirebbe ch'egli avesse dormito settecento anni, giacché questa iperbole cupamente fiabesca s'adatta oTmai da u111 quarto di secolo a tutte le attonitag– gim.i e mentecattaggÌilli. Immaginate durnque che cosa egli potesse far più sulla scena dopo aver dormito settecento a111ni.Eppure con tutti i suoi. difettacci, con tutte le sue selvaggerie, questo nuovo , venuto era qualcuno. Il 111ostromaestro n001 sapeva ancora che coèa farne, come utilizzarlo; ma lo .teneva d'occhio pensa111doche, scartabella e scartabella nella biblioteca del teatrino, un giorno o l'altro sarebbe venuta fuori la parte per lui. Io m'accostavo a lui tituba111te. Mi pareva che bisognasse proo– derlo. co111~ buone ma111i~re,e io ero fin d!'allora abbastanza astuto e mellifluo per lusÌillgare un divino ignorante. Naturalmente, era povero. Al'fascÌillati dal suo genio, alcuni gentiluomini ,e dame del su.o paese lo aveva1110mandato co111 un .sussidio a Firenze, capitalé dell'intellettualismo italiano, perché potesse scoppiar questa bomba. Ma che cos'era per lui la città arida e sobria ·,più della sua pietra · ,serena? Ohe sapeva egli dell'impo.rtalllza del sabato, il dì del Mar– zocco) delle «novità>> del Gabinetto Vieusseux, dei vootri delle donne di Botticelli, dei sorrisi delle d0111ne di Leo111ardo,dell'inac– cessibilità della _OrupponcÌilla dove erano stati scritti il Fuoco, d'atato da Settignano di Desiderio, e, due o tre an111i prima, i quattromila versi della Francesca da Rimini ? Quasi quasi io mi sootivo anche la vocazio111ed'istruire l'uomo delle selve e poi d'ammansarlo, io topolÌillo, come s'ammansa u111 leone. Botticelli, Botticelli! Non si capisce Firenze se no111 si pregusta fi.:Q.o ano spasimo l'elega111zabot– ticelliana. Questa era la Bella Simonetta dalle chiome lisce, dal prestigioso profilo. Opme? Non era bella? Guardarla booe, guar– darla molto, ·guardarla di cosi, e poi si vedrà com'è bella: Mi pareva che b_isognasse cominciare da Botticelli. U111a volta nutriti di botti– cellismo, con l'aiuto delle cartoF111eillustrate allora in gra111voga, mi pareva che lo scrigno delle bellezze fiorentine fosse aperto sotto .i 111ostriocchi e ci si potessero aff0111darele mani. E poi c'erano i ·magri dpressi. Questi er3Llloi cipressi del rMonte alle Croci. Questi erano i cipressi di Bellosguardo o del Pian de' Giullari. Questi erruno· i cipressi ·di Montughi a cui D'Annunzio aveva dedicato la Gloria. Da per tutto cipressi, magri cipressi, cipressi svetta111ti illl un cielo da primitivi. Se non si capiscono questi cipressi, che sono altra ·cosa dai cipressi dei nostri cimiteri, da quelli che i poeti chia– mava1110«schietti)), soltanto, addio arte, addio bellezza, addio Fi– renze e dÌilltorni, si può riproodere il t.J,'0110. Il mio amico avrebbe potuto obiettarmi che tutte queste cose lasciano indifferente U!Il ar– tista drammatico per cui non esistono veramente che le tavole del pa,lcoscooico, le pareti di carta, il suo caimerÌillo, il suo fabbisogno, le sue barbe finte, il carmmio, il sughero bruciato e il vasetto di 1bliòteca Gino Bianco
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