Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929
364 G. B. ANGIOLETTI, Ritratto del mio paese G. B. ANGIOLETTI, Ritratto del mio paese. - Ceschina, Milano, 1929. L. 10. Dovessi, rapidissimamente, dir le mie preferenze sulle cose di An– gioletti, me ne starei a due sop~a tutte, alla Fuga del leone (che è nel « Giorno del giudizio») e alla Gita sul Po (che è nel « Ritratto del mio paese»). E avrei, anche, dati i due aspetti di questo scrittore, e i carat– teri più chiari dell'arte sua. Bisogna però subito aggiungere che se la Gita sul Po ha un'origine ben lontana e lenta in tutto Angioletti, e risale alle prose più attente de « La terra e l'avvenire», la Fuga del leone è cosa improvvisa di cui non sono facilmente riconoscibili i precedenti, se non si debba guardare ·solo a quell'umo'r fantastico e malinconico che è proprio di Angioletti, e che qui è tradotto in termini tanto più curiosi in, quanto non si sa per quali altre vie, in modi co13.ì pittoreschi, potrà sboc– care un giorno. Tutto il racconto insomma, da quel cominciare inaspet– tato in pieno, come d'uno che abbia la fantasia riboccante (« Un furgone del Circo Aagenbroock traversava verso sera il Corso d'E\lropa, nel cen– tro di Danària, quando una catena mal postata ,finì di resistere, lo spor– tello cadde di schianto, e un leone piombò maestoso sul marciapiede, proprio in mezzo a un gruppo di mercanti radunati lì coi loro cartocci di grano aperti sulle palme ») alla conclusione in forma di morale (« Parve a qualcuno, leggendogli negli occhi la tristezza mortale della sconfitta, che Balaor volesse insegnare a quell'esaltato che tutte le for– tune s' ottengono a prezzo di disgrazie altrui, e che perciò è umana,. sopra tutto, la discrezione») è un continuo di rappresentazione, ben divisa in tempi, ben costrutta, varia, con un misto di fantastico e di reale, di città e di campagna, di motivi ridenti e amari, resi questi impersonalmente, direi pudicamente, che non si scorda più. Ma il Giorno del giudizio ? Cominciamo col dire intanto che, cosa rara nell' Angioletti, è d'una struttura complicata e tutta scoperta; e che le ultime pagine, belle, arrivano tardi a disperdere il fastidio di tante altre stanche e ritornanti su sé stesse. Né il pensiero vi è chiara– mente espresso. Dico pensiero, e dovrei dir fantasia, che nell' Angioletti è di solito intima e timorosa, e non ha nulla di demoniaco come ci voleva in una composizione così, che doveva continuamente contare sul– l'impreveduto, per arricchirsene, non per rimanerne sopraffatta. Qui tra le righe c'è, sempre, un parla,r sottinteso e una rete d'intenzioni che . . . . ' meraviglia m uno scrittore che, per tanti aspetti è· rigoroso e aperto e che nei ·saggi letterari, ad esempio, non quelli ultimi polemici, tiene' al sodo, fino a dar l'impressione di non essere altro che un volgarizzatore, per riservarsi poi onestamente, in ultimo e alla resa dei conti le più mordenti cautele. ' ' Questo Ritratto del mio paese, invece è altra cosa. Non soltanto per quel che ogni pagina vale per sé, ma' per una prova di progresso costante che esso offre al lettore. A farne delle prose perfette, sarebbe bastato, tante volte, coprire certi motivi pratici che hanno data oc– casi?ne __ al compo~re; q~anto '.1'll'altro, ricordi ognuno come Angioletti commc10, con quei magri paesi dove non c'era né una sensibilità nuova né una ricchezza di vista, ma un'intelligenza sì, e una volontà capac; · BibliotecaGino Bianco
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