Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929

358 M. CROISET, Esohyle ----=---------- logici natur3:listici tecµici, hanno fuorviata la nostra_ sensibilit~, han~o oscurata la nostra. immediatezza spontanea: conqmstare o riconqm– stare questa immediatezza apparisce talvolta una fatica disperata. Dice il Croiset a proposito dell'arrivo di Serse nei Persiani: in_ iscena, ad accoglier: Serse, non c'è più sua madre Atossa; poiché Eschilo, nel 472, non aveva che due attori, la parte di Serse doveva essere s_ostenuta, ora, da quel medesimo attore che aveva sostenuta, poco prima,· la parte di Atossa. Bene: è un errore? Se è un errore, è un e,rrore di poesia e non di tecnica teatrale. Non è un errore. Come Eschilo concepì questa scena, la madre non pote,va essere presente. Non il figlio ritorna~ ma. il re; il re sconfitto, disfat~o, con tutta la sua gran poten_za annuUata; che ùel suo orgoglio smisurato ed empio a tutte le sue genti deve rendere conto, e della sua mancata veneraz1one agli dèi che lui e il gr~ndis– simo impero trassero alla estrema rovina. 1 Se la madre fosse stata presente, la scena avrebbe avuto tocchi di dolore familiare che Eschilo qui non voleva. Eschilo non pensa a un ripiego ·perché non ha un terzo attore: ha due attori e concepisce con due attori; come scrive greco perché ad Atene si parla greco. Ma insomma, che cosa è questo limite degli àttori ? che cosa s.ono questi limiti del coro, della immutabilità scenica e simili? Come non si vuol intendere che non esiste opera d'arte la quale non sia concepita dentro un limite ? O vogliamo compiangere Dante per i suoi cento canti precisi, tre volte trentatré più uno, della Divina Commedia ? Ma il limite, l'ho già detto altre volte, non solo I;lOn è un impedimento, ma può essere un elemento esso stesso della creazione (l'~rte, la sua espressione, la ·,sua lingua, la su.a linea, il suo ·colore. In quanto io concepisco una fantasia poetica, in quanto io ho una intui– zione di colore di volume di spazio, necessariamente questa fantasia e questa intuizione tendono 1 a concretarsi, vogliono conb•arsi e determi– narsi in una forma. Il limite è _la forma. La quale, in quanto si attua, diviene interna, non è più esterna: spirito vivo, non materia inerte. E questo passaggio avviene sempre; anche se il limite è hnteriore, cioè pratico, alla intuizione stessa. Sandro Botticelli deve dipingere un tondo: guardate il suo Magnificat, che rè a Firenze, agli Uffizi. Le figure,. dal centro, sembrano distendersi come a cerehi concentrici verso il cer– chio esterior'e,; sempre più, lievemente, soavemente, si incurvano; le due figure laterali estreme, protendendo ciascuna un suo braccio, disegnano un cerchio es,sestesse. Proprio codesto limite esterno, il cerchio, il tondo, è, o pare, che è lo stesso, il motivo ispiratore del quadro. E cosi si deve dire del coro e di certa sua immobilità; e della invariabilità della scena; · e cosi di certe si.mmetrie e rigidezze un poco arcaiche nell'azione;e, nelle persone più o meno accentuate in qùest'opera o in quella. Sempre una, opera ·d'arte deve essere considerata in se stessa, immediatamente ·e sem– plicemente: senza riferimenti a n!)rme, che non scaturisca-no da quella; e a preconcetti naturalistici o realistici di una verosimiglianza insolente .. O dobbiamo ripetere ancora, ai sordi e ai ciechi chei la irrealtà può essere il massimo della reaJtà in un'opera d'arte' perfetta? Nemmeno tr~ ?pere di ~schilo stesso è lecito far paragone, per eis. · tra le Sup– plici, del 490 circa, e le Coefore, del 456: sono due cose diverse, di toni di misure di atteggiamenti poetici diversi. Se ci dà noia per' l'u11a o . ' · BibliotecaGino Branco

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