Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929
346 U. Ojetti ma il comando.... Con questo argomento il direttore dell'Accademia di belle arti sarebbe di diritto il più grande artista della città. È che ormai tra '600 e '700 sono sorte in Fiandra, in Olanda, in Francia, in Spagda, in Inghilterr'a, scuole na.zionali e sono riuscite anche ad ope_re originali e superbe così da offuscare oltralpe la fama delle contempo– ranee scuole e pittori nostri. È che la nostra stessa servitù politica di quei due secoli sembra gittare talvolta un tedio di miseria e d'obbe– dienza sull'arte nostra. Ma si tratta di fatti della politica, non del– l'arte. E se ella stesso dice di preferire « la qualità dell'arte italiana», perché non s'ha da lavorare meglio che si può, più che si può, a resti– tuire dopo centocinquanta o duecent'anni nelle pagine della storia quel primato che allora all'arte nostra sarebbe stato ingiustamente ne– gato ? Guardi quel che fanno i francesi dei loro «primitivi» e fin dove li innalzano, sebbene sieno contemporanei dei più luminosi pittori del nostro Rinascimento. Li maledicono forse perché allora la Francia «non.aveva il comando» che avrà quattro secoli dopo, nell' '800? Di– cano oltralpe quel che vogliono. A me tornano in mente i versi d'una patrizia veneta proprio del'700, di Caterina Dolfin Tron, che fu la pro– tettrice del vecchio Gozzi e cui in questi giorni Gino Damerini dedica un libro libero e vivo: )fa mi, fia d'un Dolfin, muger d'un Tron, Bato grinta per Dio, mi non me mazzo, E se casco non casco in zenochion. La pittura francese del '700? Fuor di Latour, di Chardin, di Wat– teau e forse di Fragonard, quella pittura è, sia detto con un inchino, più cucina che pittura: voglio dire che la molta salsa vale più della poca carrn:i. Ella disprezza il Magnasco. Vorrei che rileggesse quel che Luigi Dami nel nostro libro sulla pittura del '600 e del '700 ha scritto di questo indiavolato creatore della «macchia» alla quale tanto deve tanta pittura dell' '800 e del '900, compreso lo squisito bozzetto d'un ri– tratto femminile ch'ella esponeva mesi. fa a Roma accanto al sobrio ri– tratto di sua moglie. « La macchia, che è italiana oltrepassa l'analisi della forma, si esaspera fino a un disfacimento delle cose, ma poi le rias– sume e lè ricompone originalmente in aspetti nuovi», con quel che segue. Vorrei ch'ella meditasse, davanti al1e pitture tratte per questa esposi– zione giù dalla cant?ria dell'Angelo ,San Raffaele, su quel che al Ma– gnasco deve il Guardi. Ma ad abbandonarle il Magnasco, mi dica se una pittura che va da ,Sebastiano e da .Marco Ricci a Giambattista Tiepolo, dal Pannini ai due Canaletto, dal Ghislandi ad Alessandro LonO'hi da . "' ' Giuseppe Maria Crespi al Piazzetta, dal Bonito o Traversi che dir si voglia al Solimena, dal Bazzani al Todeschini, dal Lampi al Bacciarelli, dal Carlevaris allo Zuccarelli, e, se anche l'incisione è pittura dal Pit– teri al Bartolozzi e al Piranesi, ha in quel secolo l'uguale in 'Europa? Paesaggio, marine, vedute, ritratti, qua,dri sacri, aneddoti, costumi, sce– nografie : e dovunque, come diceva il De 1Sanctis definendo la critica allora dell'arte, « l'affermazione dell'ideale nella piena realtà della na– tura., che è il concetto fondamentale della filosofia dell'arte. La poesia BibliotecaGino Bianco
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