Pègaso - anno I - n. 8 - agosto 1929

IL VI.AGGIO D'ITALIA. Sembra che d,avvero i turisti, distratti da altri richiami, comm– ci1110 se 1110n a disertare l'Italia, a venirvi soltanto di volo, tre giorni a R~ma, due a Napoli, u1110 a Firenze, uno a Venezia. I giomali interrogano gli albergatori e i conduttori delle carovame. Le società appositamente costituite per agevolare i viaggi dei fore– stieri e per attirare l'attenzione di Americani, d'llllglesi, di Tede– schi sulle i111oomparabili bellezze d'Italia, s'affaticamo oon scarsi mezzi a sostenere la gara con le altre società che nei vago111i e nei piroscafi, sulle riviste e sui giornali vsantano i111vece le altrett,anto 1 mcomparabili bellezze d' altre terre, dalla costa d'Africa al Capo Nord ; e moltiplicano uffici, opuscoli, manifesti. FM1no bene ; ma n001 si potrebbe andare più in fondo? Non si potrebbe sull'espe– rienza, per noi Italiani, di due o tre secoli chiederci perché fino a pochi an111i or .sono i turisti hanno preferito il viaiggio d'Italia a quello di Spagllla o di Provenza, d'Egitto o d'Algeria? Perché da -ogni angolo del mondo gl'innamorati e i sapienti, i poeti e i politici, i mistici e gli epicurei, i malati con la speramza di fuggire la morte e i sani col proposito dli moltiplicare l,a loro vita, no111 hanno sognato che il viaggio d'Italia? Perché i vecchi, se evocano il loro passato, quando si ritrovano davanti agli occhi il ricordo dell'Italia, ,sorridono estatici e pare che mormorino una preghiera, no111 che narrino un fatto. della giovinezza lontama? Solo dopo questo esame si potrebbero scoprire i modi più acconci per far rinascere un amore che, d~cono, s'intiepidisce. ·A oopiare i ri– chiami che fanno gli Svizzeri o gli Austriaci per aicoaparrarsi co– mitive e c~rovane, noi si rischia di fare il gioco loro, vestendoci coi loro panm. Certo, mille libri dJ'ogni li111guahanno ormai dato mille ragioni di quest'incantesimo italiano, la luce, il clima, i monumenti, il paesaggio: cose che si poss0010vedere cogli occhi e tradurre in pa– role. Ma la bellezza ha questo di comune oon la dimità, che non può essere tutta veduta cogli occhi e tutta traidotta in parole. La, BibliotecaGino Bianco

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