Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

60 U. Fracchia _ Non chiamarmi mamma, - rispondeva in un soffio la signora Celeste. Altre volte, sollev3ID.doa gran fatica le palpebre sugli ocohi spenti: _ Perché siamo fatte di questa povera carne, 111oi don111e ? - gli chiedeva. Indugiava con u111 lungo lento languido sguardo sul suo viso abbronzato, e mormorava : - Tu sì sei bello, tu sì s-ei gentile. Su dalla tromba della scala,, attraverso l'uscio per la fretta lasciato aperto, salivano illltanto i rumori della cuci[la accoihpagnati dlal profumo dei CO[ldimenti. S'udivano le stoviglie e le posate fare quel c,oncerto che, quando c'è l'appetito, è tamto più soave del più grazioso Cimarosa, del più patetico Donizetti : segno che già si era;no seduti a tavola, e incominciava1110 a piluccare con discre-' zi0111e, per dar tempo, se 1110n alla signora Celeste di riaversi, almeno a Massimo di allo[ltanarsi da lei senza spaurirla. E Massimo, ma– ledioondo ih cuor suo un udito t3ID.tosottile, un olfatto tanto sensi– bile, per quwn:to stirasse i muscoli del viso non riusciva a compri– mere del tutto nello spessore d!ella sua barba qualche vigoroso sba– diglio. Gli sembrava di avere 111ello stomaco una pallina di vetro, come quelle che, ballonzolano 111el ventre di oorte bottiglie, e questo gli dava Ulll lamguore che, se non era vera vertigine, molto no111 ci mancava. iMa, forte del suo dovere, aspettava che la signora, Celeste, richiusi gli occhi, desse col suo silenzio e la sua immobilità seg1110 di essersi assopita; e solo allora, ritraen:do con cautela la mano dalle sue, scivolamdo adagio ad!agio dalla spo111dadel letto, in pu,nta di piedi, a passi lunghi ed elastici se ne andav·a via. No111 sfuggivano quei movimenti e rumori, per qua111to lievi, alla signora Celeste, ma le mancav•a l'animo di trattenerlo. Il guanciale su cui posav·a la gota affatfoata, quelle coltri nelle .quali egli aveva lasciato l'im– prornta del suo corpo appesa111titodal son1110, erano anche imbevute d'uno strano odore : 1110n più il fortore acre del sol,dato, ma u,n tepido e vago profumo di carne viva ooe le avvolgeva il capo come in un velo. Respirando in quel profumo, provava pure un turbamooto fisico che avrebbe voluto vincere. Ma ~ra cosi dolce, e lei cosi debole, che IIlOlll trovava neppure la forza di combatterlo . .Come in sog1110, fors,e già dimentica di sé stessa e di oo-ni cosa m quell'oscuramento della. ragio111e che precede il sonno, le pareva che Marcello fosse Massimo, e che quel tepore, che sentiva sulla gota, fosse dovuto alla carezza della sua barba morbida come la seta. La sua bocca aveva la freschezza e il profumo di un fiore. Dopo il pranzo, illlcominciavamo per il maggiore Iupiter ore di voluttuoso tormento. Avrebbe voluto starSe111e sempre con Massimo non lasciarlo mai un minuto. Cercava mille modi e ;pretesti per trat~ BibliotecaGino Bianco

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