Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929
Ritratto di Vittorio Imbrfo.ni 663 Or poiché la gente vive soprattutto di transazioni, coprendo con finzioni retoriche e con maschere la, verità, ecco che il dubbio le– gittimo e il .sospetto, l'illliziale spirito di contraddizione sono una forma di moralità per assicurarsi del vero c0111tro l'orpello e la fu– oota storia. La sua concezione del mondo, tutta terrena ed atea,,po!Ile ferrei doveri ai mortali, il disinteresse che non piega al tomaco111to, la schiettezza che no!Ils'infinge, la dedizione totale alla patria ed alla dilllastia. La sua morale, benché laica, considera in realtà gravi peccati le trasgressioni di nove forse tra i dieci comandamenti: ed eccettua, direi, la fornicazione, verso la quale egli sembra di ma– nica larga, a meno che questa, nel caso determilllato, non significhi tradimento a ,quei doveri che gli altri comamdamenti imp0111go!Ilo. Il vero codice morale è la coscienza; ,pure egli pone certi assoluti che prendon per misura della realtà la misura del suo imbrianesco sentire. Nel Libro delle preghiere wuliebri) che IIlOnè certo tra le co,se più riuscite dell'Imbriani, si leggon però tratti che illumilllamo l'idea che egli s'era formata del mondo morale. Ln quel libro si parla dell'amore di Dio « amore di Cristo, considerato qual tipo morale perfetto, cui ci sforziamo di avvicinarci e conformarci, per quanto il comporta l'umana fragilità.» Tuttavia, una coerente concezione del vivere, un accordo tra l'idea e il giudizio, IIlOIIl pare la raggiungesse co111 maturità teorica: e. di questo squilibrio s'affatica in molte ,parti l'opera sua. Non avoodo egli più una fede religiosa, tendeva a crearsela come terrena filosofia: e v'è in certi suoi accenti, una così umile e schietta sot– tomissione alla umana Provvidooza, a « quel consiglio etemo >> delle cose, da far pensare che nell'intima coscienza egli avesse raggiunta la certezza sua etica. ,Sentendosi condannato a morir giovame, tra. terribili sofferenze, quamdo la maturità degli studi avrebbe potuto in lùi d!ar .frutto, egli è malinconico di fronte alla sorte; ma non impreca IIlé maledice ; mostra uilla grandezza di spirito che certo non co111obbero i romantici del secolo passato, sempre lagmosi del– l'infelice esistenza. Gli duole di morire, non per sé; ma per la mo– glie e pel figliuoletto : e lavorando fino all'ultimo giorno della sua vita, nOiilsi lamenta dei suoi mali, ma dice COIIl una serooità schiva dJ'ogni retorica: « È successo peggio a tamti migliori di me.>> Non Italiano; ma Italianissimo egli si sentiva e diceva: e del– l'Italia ebbe un culto che era dedizione intera. Aveva 111elle vene il salilgue di due eroiche famiglie: Imbrimni e Poerio. Aveva combat– tuto da gicivame, senza boria e retorica; per semplice dovere. La sua italianità, gelosa contro ciò che è forestiero, fino al punto di suggerirgli il famoso saggio contro il Goethe e le stroncature dei poetucoli tedeschi o francesi che avevw nome e la traduzione dei cognomi stramieri, sicchè una volta scrisse cc il Mussezio >> invece BibliotecaGino Bianco
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