Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929

U. Fracchia.. non avesse del tutto finito di ardere. Allora ebbi una graJllde pietà di lui e, mentre egli masticava distra,ttamente il gr31mo pane del sol– dato, pensai con una stretta. al cuore che cosa avrei fatto e patito io, se mi fossi trovato al suo posto. In quel mO!IIlentolo rividi con tutti i suoi cinquant'anni, come la prima volta, cosi piccolo, legger– mente adiposo e :fl.acddo, Ulil fagotto che, volendo, avrei potuto senza fatica caricarmi sulle ispalle e portare; e confrontai mentalmente la sua figura abbiosciata sul quel tronco con l'imm31gine tutta irreale che mi ero fatta di lui leggendo il suo sentianentale messaiggio, pieno d'amore per la vita e per la bella italiana: tutte cose che aipparte– nevaJIJ.o rud un'altra età e non alla nostra, ad un'età ancora roman– tica e cavalleresca, di cui forse i suoi cinquant'anni più dei miei venti sentivaJIJ.ola nostaglia. Cercai ainche un'altra immagine di lui, ed essa mi parve allora già altrettanto irreale. Non seppi cioè rivederlo con precisione in piedi su quel monticello di ghiaia, nel– l'atto dli scaraventare nel fiume la sua mitragliatrice. Eppure si era comportato come il più coraggioso di noi, ed io noo gli 3Jildavo certo debitore della vita. «- Che cosa farete ora, torn3Jildo a casa ? - gli domandai poco dopo, per avviare il discorso JSopra un terreno ,paicifico: - Qu31l'è la vostra professione, tenente Horvath? «- Insegno· greco e latino in un collegio di Debretzin, - mi rispose a mezza voce : - Che debbo fare, signor capitano ? Tornerò alla mia scuola. «- E Nice ? Strano! - esclamai : - Ora che ci ripenso, Nice no111 è anche il 111ome che gli antichi davano alla Vittoria ? Tutti e due abbiamo amato una Nice) - E di quale altra Nice credete che io volessi parlare? - disse egli allora, arrossendo leggemnente : - Sono già vecchio, e ho uilla cara moglie, a Debretzin, con tre cari bambini. Eppure avrei pre– ferito morire, ,signor C31J)itano,piuttosto che vedere questo giorno. Et si est vita non est ita. Che cosa sarà della pa,tria ? «- La vostra patria 1110n è questa su cui posate il piede, tenente Horvath, - soggiunsi io, - e nemmeno quella su cui noi poseremo il nostro. Perché siamo nemici ? « Così rimanemmo ancora qualche minuto in silenzio, seduti l'u1110 accanto all'altro, finché io non ebbi raccolto tutte le briciole dal palmo della mia m3Jilo. «- Forse non ci rivedremo mai più, - gli dissi poi, alzandomi in piedi, - ma, ne sono certo, se anche vivremo cent'anni, 1110n ci ,saran1110 due uomini sulla terra che si ricorderanno come noi due l'uno dell'altro. Ebbene : sono felice di non avervi ucciso, tenente Horvath, e siatelo voi altrett3Jilto per me. (< Egli si alzò da quell'albero disteso e, balbettando non so quali confuse parole, strinse debolmente la mano che io gli tendevo. Mi Biblioteca Gino Bianco

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