Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929
724 U. ]I' r<icchiri XXXVII. - Dove avrebbe preferito di essere? domamdò il maggiore Iupi– ter, al quale era sfuggita l'ultima parola. Mrussimo sorrise. «- Nemmeno io afferrai subito il nome di quella città, - cootiinuò, - perché il fragore della fiumana sotto di noi e del buono !mlle nostre teste -se lo era portato via. Ma il ricordo del famoso messag,gio venne in mio aiuto, e mi parve, come infatti era, che egli avesse nominato Debretzin, la sua città 1I1atale.- Ah, - feci allora, - tenente Michele Horvath di Debretzin. Ora mi ricordo. Bel paese Debretzin ? «- Piccolo paese, signor caipitano, piccola città, - rispose, - piena di vecchie c·rusuccea forma di tenda, imbiancate da ogni lato, e lllient'altro. Ma anche la puszta non è che steppa e il Danubio nOin è che un fiume. Eppure : Extra Hungariam non est vita Et si est vita non est ita. «- Ohe cosa vi è saltato in mente, - dissi io, - di lasciarmi quello strano messaiggio? Se avessi creduto alle vostre buone in– tenzioni, ci avreste mandati tutti a nuotare nell'Acheronte. Così la i111.tendete voi, vivi e lascia vivere ? «- Onore e dovere, - dspose il tenente Horvath. <<- E Nice? ((- Apjpunto. E dopo una breve pausa ripetè: Extra Nicem non est vita Et si est vita non est ita. «- Chi è questa Nice ? « Mi lrusciò senza risposta, ed io saltai in piedi perché la cor– rente incomincia1Va a larrnbirmi le suola. << - Ebbene, tenente Horvaith, - dissi con sarcasmo, - ooore, dovere, Debretzin, Nice, tutte belle, bellissime cose, ma la nostra filllesarà quella delle taJpe in una marcjta. Non sentite che il fiume vi tira già per i piedi ? << Allora anch'egli si alzò e, alla luce di un lampo, che per Ulll attimo sbia!Ilcò il cielo, lo vidi pallido come uno spettro dinanzi a me. Il suo viso era così tdste che io sul momento scarrnbiai per la,grime le gocce di pioggia che dalla benda gli scorrevano sugli occhi. « I miei uomini, in.sensibili all'a.cqua, aJ vento, al freddo, al rombo delle ca!Ilnonaite, allo scroscio della fiumana, dormivano come pietre. Il sonno di alcu!Ili era così profondo che non sentivano neppure di avere già la corrente ai polpacçi. Bisognò svegliarli BibliotecaGino Bianco I
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