Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929
La Stella del Nord 595 gnava il breve corso della sua fortuna, sollevandosi sulla punta di un piede, come se volesse spiccare il volo verso l'altra testata del biliardo, dove la sua palla andava ad urtare. Si mordeva il labbro e, rimproverandosi di averle dato o troppo o troppo poco impulso, cercaiva di guidare Alessrundra ad un giuoco migliore. Ma Alessan– dra badava appena a lei, anzi la pregava di tacere. - Zitta, zitta, lllOIIl mi confondfre .... - Posava sul panno la sua mano un po' forte, piegava il bel corpo con un movimento energico ed armonioso di tiratrice d'arco, e la palla partiva dalle sue dita con un colpo deciso, ma misurato, mentre sotto il lume la sua testa si coronava d'una fine aur,eola d'oro, creata dalla luce nella trasparooza dei ,suoi capelli. Non era una forte giocatrice, né troppo fortunata neppure lei. E Marcello faceva la parte dell'eroe e del leone, avventurando la sua palla in complicati rinterzi, rinqu,arti, rovesci, strisci, raddoppi; infine, chi conosce l'arte del biliardo immaginerà la bravura di cui un giocatore appena appen;:1,esperto può far sfoggio in simili casi. La signora Celeste lo guardava stendere il braccio, protendere il capo, sentiva di odiare la forza che anch~ in quel leggiero esercizio si sprigionava dalle sue spalle di lottatore, paragonava quel suo corpo rozzo ed enorme con la piccolezza e la perfetta forma delle sfere che egli faceva scivolare sul verde piano ; e una sofferenza di momento in momento più acre, 1m'antipatia sempre più dolorosa penetrava a poco a poco il suo spirito, considerando quanto egli fosse distaccato e lontano, così diverso da lei e da ogni suo ricordo e sogno; e piena di malinconia pensava a sé stessa, ai suoi capelli bianchi, alle vene già visibili sulla propria mano pure così pic– cola e delicata, ad Alessandra così noncurante di sé e della sua fio– rente bellezza. Marcello dal canto suo sentiva che quelle due donne gli erano ostili non soltanto ai birilli, ma con tutta l'anima loro tesa più del panno di quel biliardo. Non si stupiva della signora Celeste (egli credeva di aver sufficiente esperienza delle donne per spiegarsi il suo rancore), ma non sapeva a che cosa attribuire il sentimento di Alessandra e non si rassegnava a subirlo. Tuttavia il rancore del– l'una e il disprezzo dell'altra facevano sì che egli provasse una specie di voluttà quando poteva colpire la loro palla e mandarla a scompi– gliare il crocchietto di quegli omini bianchi e panciutelli in mezzo al prato. Gli sembrava di colpire una guancia vagamoote accalo– ra'.ta, e che quello sco:ppietto, che facevano lè sfere d'avorio urtan– dosi, fosse proprio come un piccolo schiaffo. - O un bacio ? - chiese a un tratto ad alta voce. - Come ? Ohe bacio ? _ Dicevo che la mia palla, urtando quella della signorina Ales– sandra, ha fatto come lo schiocco di un bacio. La signora Celeste sentì un tuffo al sangue e la sua fronte si coprì ' '
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