Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929
l\L BON'.1.'EMPELLf, ll figlio di due madri rienze e conquiste più rilevanti e i-ischiose, sono che operano in secondo piano; ma quailldo poi vengon ricollocati dove pel merito debbono stare .la, ·fisionomia dell'epoca si trova val'iata e ravvivata. Fra i visi noti e troppo noti, ed altri. visi che non son che mascI1,ere, ne compaiono a,Uora (i libri del Sainte-Beuve son tutta una galleria di tali ritratti) che hanno l'aria di nuove conoscenze. Ricercando l'opera di questi scrittori, si è costretti a pensare che se il loro accento poté serbarsi limpido e indisturbato, fu appunto perché essi vollero affidarsi a ragioni meno contingenti; e seppero credere alla poesia, quanto più sembra– vano rifuggire, e quasi vergognarsi, di mostrarsi poeti. EMILIO CECCHT. MASSIMOBoNTUJMPELLI, l figlio di rlu,e marZri. - Sapientia, Roma, 1929. L. 12. Vorrebbero fare di Bontempelli (e lui stesso soffi.a nel fuoco con proclami, interviste ecc.) un caso quanto mai impegnativo e urgente per la letteratura italiana a venire, in particolar modo per la narrati va. Proprio su queste pagine Giovanni Papini ha negato che, come ge– nere letterario, il romanzo rientri nell'indole vera dell'arte italiana. Al contrario Bontempelli pare che non veda altro avvenire di salvezza per la nostra letteratura fuori del romanzo e sostiene senz',altro che il secolo nel quale stiamo già dentro a mezza gamba debba in Italia essere contrassegnato da narrazioni di gran fantasia. Papini dice: « Neanche provarvici; perdereste il vostro tempo. i> Bontempelli dice: « Solo bus– sando da quella parte vi sarà aperto. » · Fra i due litiganti (in verità, ch'io sappia, i due scrittori non liti– gano affatto: sono io che retoricamente li metto di fronte per dar colore al discorso) i terzi non godono affatto, se per terzi mettiamo quegli scrit– tori che non sappiano ancora bene come regolarsi e che non vorrebbero, donrn,ni, pentirsi di non avere bussato in tempo alla porta che dice Bon– tempelli, e d'altra parte, una volta dentro, non vorrebbero trovarsi ad aver perduto il loro tempo allattando delle creature destinate a morte certa. Essere o non essere ? insistere nel romanzo o cercare altri sfoghi ? L'affare sembra più serio perché romanzo vuol dire anche lettori. Tutti chiedono un bel romanzo, pochi un bel racconto di storia, quasi nessuno una bella lirica. Par~ntesi. « E lei, signor recensore, si può sapere che cosa ne pensa ? » _ , Oh, non mi metterete in imbarazzo per così poco. Io penso que~to: che se uno ha proprio in corpo un romanzo non c'è nessuna ragwne perché non lo debba dar fuori. Vedremo dopo s'era proprio v:ro che non potesse fare a meno di darlo fuori o se il parto non sia s~ato p1_utto~to malamente affrettato da una indigestione di francesi o di russi, d'm– O'lesi o d'americani Ùel qual caso più facilmente ci disinvoglieremmo dalla lettura. Comu'nque, a prior-i, non saprei negare la possib~lità ?'un bel romanzo italiano mentre mi tornano insieme alla memoria e 1 ro– manzi cavallereschi clel Quattro e Cinquecento, e la « storia milanese » BibliotecaGino Bianco
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