Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929
L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultitra napoletana 627 c~ria, che quella cultura meridionale ha avuto in ogni tempo nelle .rimanenti parti della penisola. Osservando le cose un po' grossola– namente, e prese per così dire in blocco, par subito evidente che l'in– dole di quegli studi, così ricchi d'idee e d'astrazioni nebulose così poveri di forme, dovesse riuscir ostica non solo alla mentalità t~scana e romana prevalentemente artistica e letteraria, ma anche a quelle piemontese lombarda e veneta che, pur divergenti fra loro si racco– glievano tutte però intorno a problemi di natura non ast;attamente filosofica, ma piuttosto politica e morale. D'altro canto a guardai· le cose più dappresso, la ricchezza la vivacità e la larghezza di quelle discussioni, che han formato in ogni tempo l'orgoglio della civiltà me– ridionale, appaion davvero mirabili e tali da meritare un consenso più diffuso e profondo, e non solo in Italia. Né basterà dire che appunto , il tono cosmopolita cli questi studi, insieme con la materia filosofica, eran naturalmente predestinati ad aver scarsa e debole risonanza negli ambienti culturali delle altre parti d'Italia, ormai chiusi e restii alle vie nuove del pensiero e dell'arte: perché intanto è vero piuttosto che quelle esperienze, cbe si venivan sviluppando a grado a grado in Eu– ropa, trovavano anche nelle regioni dell'Italia centrale e settentrionale il loro svolgimento, sebbene in forme singolari e solitarie e confacenti all'indole di quelle di.erse culture; e d'altra parte è vero anche che, nonostante il loro simpatico ed irrequieto avvicinarsi alle tendenze mutevoli e molteplici dello spirito europeo, gli studiosi napoletani tro– varono quasi sempre nelle altre nazioni un'eco quasi nulla, o almeno assai limitata, più limitata che non quella di italiani di altre regioni, che potevano a prima vista sembrar più chiùse ed appartate. Occorrerà dunque trovar una ragion'e che spieghi nello stesso tempo la scarsa e fragile fortuna della cultura meridionale, non solo in Ita– lia, ma nell'Europa tutta. E questa ragione è da riporre forse nel singolar tono di quella cultura che, pur così avida di problemi e attenta a coglier nell'aria ogni novità e capace non pur d'assimilare, ma anche di discutere e rinnm'are profondamente le idee correnti, si svolse pur sempre, come per una strana contraddizione, in un'atmosfera ristretta e provinciale, lontana e indifferente allo spirito più vero della nazione. Del che ,è possibile scorgere un segno nella lingua stessa e nello stile di quei filosofi che, pur vivacissimi e fastosi e pieni - si direbbe - di scintille e di scoppiettii, son pur sempre una lingua e uno stile a i-é, estranei à' modi della nostra tradizione, non italiani, ma per così dire dialettali. Di quest'indole ad un tempo così larga e municipale, dialettale ed europea, che abbiam descritto, compaion le tracce anche i~ quell'ultima vigorosa fioritura che la cultura napoletana ebbe sul fimre del secolo ~corso, mentre s'andava a poco a poco dissolvendo in quella comune d'Italia e arricchendola degli spiriti suoi originali e profondi. Luigi Russo ba tratteggiato ora le vicende e elencato le conquiste ideali di quel movimento di studi cbe s'accentra in Napoli tra il '60 e l' '85, in un suo bel libro pieno d'affetto e d'intelligenza: cui nuoce solo un poco l'esser stato concepito dapprima, e scritto in parte, come storia BibliotecaGino Bianco
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