Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929
622 L. SALV .A.TORELLI, San Benedetto e l'Italia del suo tempo narrazione. Ciò non signifi,ca che ,siano inopportuni. Servono a farci misurare la grandezza della istituzione benedettina per contrasto: l'uomo che reagi,sce all'ambiente. Per la biografia del Santo, il ,Sa1va,torelli si attiene necessariamente al racconto di Gregorio Magno artr.lie nei particolari che hanno sapore leggendario. Segue San Benedetto eremita a Subiaco, poi abate d'un monastero che non si sa se sia quello cli Vicovaro e dei dodici monasteri costituitisi attorno a Subiaco, infine fondatore della badia di Monte– ca,ssino. Quanto avviene fuori di questo piccolo mondo, che tende ad astrarre dalle cure e dai pensieri terreni, appare estraneo e lontano, come il deserto squallido, dove ignote carovane si perdono accecate dal sole e sferza-te dalla sabbia a chi abbia trovato tranquillo e sicuro rifugio in mezzo al verde di un'oasi. Le pagine che, come intermezzi della narra– zione, ci riconducono nel tumulto delle lotte religiose e politiche, tra una gente inquieta e tormentata, sono pennellate che non riusciamo a con– nettere con l'insieme del quadro. Gli è che il tormento e l'inquietudine questi solitari l'hanno dentro di loro e la regola benedettina non è che il rimedio, ,scoperto dopo lunga esperienza, per combattere l'insidia d'un nemico che s'annida dentro l'anima di uomini votati alla penitenza e alla contemplazione di Dio. La sola preghiera e l'ascesi mistica non salvano. Le visioni demo– niache e le tentazioni carnali degli anacoreti d'Oriente non turbano lo spirito equilibrato e sano di San Benedetto, ma pure agisce su di lui il fascino femminile con lo stimolo dei ricordi ed è costretto a domare la rivolta dei sensi rotolandosi nudo sui pruni. Più tardi, abate d'una comunità corrotta, che cerca di liberarsi di lui col veleno, ha ancora la prova che la pura vita contemplativa non giova ad allon– tanare il peccato. Il monachesimo occidentale ha trovato, per .suo merito, la formula della perfezione: ora et labora. Elevare l'anima a Dio, nobilitando il corpo col lavoro. Così nasce la regola benedettina. Il Salvatorelli, studiandola, ne riassume prima il contenuto istituzionale e cerca di ,coglierne pot lo spirito informatore. Ma lettera e spirito sono in questo codice d'una comunità .religiosa una cosa sola, dal primo capitolo, che ripudia im– plicitamente tutte le forme di ascetismo medievale (cenobiti, anaco– reti, sarabaiti, girovaghi) per affermare la superiorità del nuovo mona– chesimo, alle prescrizioni sulla vita comune, sulla disciplina, sulla preghiera, sull'obbligo del lavoro per tutti, giù giù fino al capitolo conclusivo, nel quale si avverte che la regola è un semplice avviamento alla perfezione e che il monaco dovrà p,oi trovare da sé la strada per procedere e raggiungerla. Ho detto codice. Mi correggo. Si è parlato di spirito «giuridico» della regola benedettina. Il Salvatorelli nota che « se caratteri giuridici sonò, come non par dubbio, l'ordinamento e la definitezza, la norma precisa e circostanziata, in una parola il formalismo, di spirito giu– ridico è piuttosto scarsezza che abbondanza nel codice di San Bene– detto. l> La questione da chriunque posta (ed è chiaro che non l'ha posta il Salvatorelli, il quale vi ha accennato per ripudiarla) è assolutamente BibliotecaGino Bianco
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