Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929
504 G. TIT'l'A Ros.A, Idilli rnstioi catenazione: le parti sono slegate, e per sé stanti, e l'azione non si i:volge autonoma, e non le lega. Si raccontano, per così dire, an– tefatti, non fatti; la satira morale non scalda figure, non crea vita. L'autore che pure in principio ha tentato di calare nei due personaggi, del pittore e del miliardario, due tipiche astraz:ioni d'una civiltà se11za cuore, e grottesca, nella terza parte, dove la fantasia ironica e morale doveva prodigarsi in creazioni vitali, sia pure per disprez– zarle, s'impunta, e devia o in descrizioni ferme di casi clinici orrendi (von Geierfelsen), di decadenze lussuriose e idolatriche (Estella, Nis– sia), in macchiette (Schneckenthal, ecc.), oppure in meditazioni e riflessioni esterne e aggiunte, non intrinseche all'azione. Rappresentare in una narrazione spiegata i ridicoli e orribili effetti delle moderne dege– uerazioni del costume e del cervello, non dirò intelletto, questo era, mi semb1·a, il proposito capitale dello scrittore. V'è riuscito ? Dico di no. Anzi, quando se n'è dimenticato, e ba inventato e condotto con sottile chiaroveggenza l' idillio fra il pittore ·e .Jannette, oppure quando, seconda parte del romanzo, ha narrata con un vigore e un'evi– denza di, vero storico e poeta la ritirata dopo Caporetto, la battaglia di Codroipo, e ha poi piegata la vena verso il secondo e in più punti delicatissimo idillio, fra De Nada, e Cecchina Critti, chiudendolo ma– gistralmente con le pagine della malattia di lui, allora l'arte di Bacchelli ha potuto raggiungere perfezione e felicità rare, umane e ispirate. È qui la bellezza vera del romanzo, qui la sua forza e pie– nezza. Episodica, rispetto al tutto, e. diciam pure alla « macchina >> ? Certamente; e se la «macchina» si regge, sebbene a stento, bisogna, ecco, riferirsi non ai personaggi, che pur l_adovrebbero portare P muo– vere, autonomi, ma allo scrittore, al suo vario, arguto ed estroso mo- raleggiare. , Morali,sta e romanziere, le forze di Bacchelli, Aono singolari, ma per ora contraddette. Glielo dice un amico che lo ammira, e 'che s'è divertito nella prima parte, ha gustato la sua varia dottrina, anche teologica e storica, profusa nel libro ; ma s'•è commosso soltanto da p. 109 a p. 187. G. TITTA ROSA. G. TITTARosA, I dilli rustici, racconti. - Ribet, Torino, J_928. L. 10. Il volume risulta di due qualità di componimenti. Un gruppo di rn,cconti e fiabe, di soggetto paesano; e un pajo di meditaq;ioni, manife– f'tamente autobiografiche, che si intitolano ad un nome, Amelio, di leo– pardiana, memoria. Sulla distinzione, l'aut,we non ha insistito; ma essa appare lampante. E già all'atto della lettura, e ancor più a libro chiuso, si sentono sciogliersi ed isolarsi disposizioni non diremo antagonistiche, mai.che stanno certo su piani diversi. Un critico straniero, giudice favorevole a questi I dilli, ha chiamato - <1 narcisismo» l'atteggiamento che si riflette nei due capitoli d'Amelio. 'lfna infiltrazione, una traccia di malinconia morbida e compiaciuta, non pnò negarsi in coteste pagine. Ma « narcisismo » mi sa di vizio ; e, nella <'ircostanza,, dice troppo. D'altra parte, negli otto racconti rusticani, è BibliotecaGino Bianco
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