Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929

476 U. OJetti - Lettera al pittore Arturo Tosi rale, quello di ammirare negli uomini, prima di tutto, il carattere. Di 'riziano o di. Corot quante maniere si noverano ? Due, tre, e ben con– nesse; e hanno vissuto quello novantanove anni, questo settantanove. Di Salietti tre maniere in quattro anni. Certo vivrà quanto Tiziano e non basterà una colonna dell'Enciclopedia Treccani a far l'elenco delle sue nm'ità o infedeltà. Pulvis es, con quel che segue. Davanti a questa in– costanza finiscono a sembrarti logici gli onori coi quali il Governo esalta Grosso o ,Sartorio e che, alla prima notizia, ci fanno sobbalzare di mera– viglia: premia la loro stabilità, non la loro pittura .. E l'instabilità un male del secolo? Non credo; se mai, è da guarire. Nella letteratura più giovane, ad esempio, da Baldini a, Malaparte, da Bacchelli ad Alvaro, da Vergani ad Angioletti, da Oomisso a Cinelli, di libro in libro si vede la volontà di cercarsi uno stile aderente all'animo e, trovato, di temprarlo e affinarlo perché si sa ch'esso è l'arma di noi scrittori: nei due sensi, arma di difesa e d'offesa, e stemma di nobiltà,. Il vostro Novecento ha questo merito: di presentarci i migliori dei giovani o, come anni fa si diceva a Parigi, dei fauves in libertà, e di <'!areicosì uno specchio del domani più che dell'oggi. Ebbene questa in– stabiJità della nuova pittura italiana è tanta che non solo non si rico– noscono più i pittori, ma nemmeno le tecniche. Le figure di Funi sono ad olio o a pastello ? E Campigli dipinge a olio o ad affresco ? Ma il peggio ,è che non si riconosce la patria. I giovani paesisti toscani, Ca– ligiani, Dani, Pucci, squisiti nei toni e rapporti, perdono il segno in– cisivo dei loro padri, dall'Angelico al Fattori, in nubecole d'ovatta che dovrebbero sciogliersi al primo soffio di vento. E la « scrittura» agile e sicura di Telemaco Signorini non la ritrovi più che nella « Villa Duprè >> del Bacci e nei delicati paesaggi dipinti in Mugello dal più fine dei nostri silografi, Bruno Bramanti. E se non vi si leggesse la fi:trmadi Sironi, chi direbbe italiano quel.feroce abbozzo d'una gigantesca << figura>> d'uomo, nero bianco e rosso ? Barbara mimcula, chiamava Marziale le piramidi di Egitto; sarebbe il nome per queste apparizioni d'incubo che ti ritrovi davanti, uguali, in ogni mostra d'avanguardia, da Parigi a Mosca. E Sironi è uno dei nostri disegn~tori più immaginosi, sobri e originali che col bianco e col nero, in poche linee falde quanto architravi e co-. !onne, sa porgerci figure e allegorie care ad ogni cuor d'italiano; ed è uno degli spiriti più cordiali e schivi che oggi si affatichino a fare del– l'arte senza chiedere altro premio che quello di poter lavorare in pace. Né di qualche ricordo straniero mi dorrei. Che m'importa se il colorito di Severini ricorda quello di Ma.urice Denis ? Se lo schema d'un paesag– gio di De Grada ricorda Cézanne ? •Se la « Casa degli oleandri>> dipinta da Monti ricorda Utrillo ? Se la smunta tristezza della donna dipinta 'da Peyron ricorda Modigliani? Il punto di partenza conta poco in arte: tinello che importa, è il punto d'arrivo, in Italia .. 'l'u, caro Tosi, sei da questi artisti, amato come un amico leale, e co:qie un maestro. Se consenti in queste idee, dài ad esse, conversando con questi giovani, l'appoggio della tua parola e l'autorità, del tuo esempio. Cordialmente tuo UG-OOJE'I'TI. BibliotecaGino Bianco

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