Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

166 A. Panzini Una lievissima colazione appena a mezzodì: la ser!l avrebbe mangiato e. bevuto, dopo finito il lavoro, ché egli era buon man- giatore e fermo bevitore. · Entrando nella scuola, lo seguiva il bidello, che si chiamava Monti : un omino devoto, umile e dinoccolato, con una voce blesa, bolognese quanti altri mai. - Monti, e non Vincenzo Monti, - non mancava mai di osservare il Carducci. Il buon Monti sapeva la sua parte, a memoria : da uno stanzino riposto, toglieva dizionari e libri di consultazione, perché era co– stume di questo grande Maestro quando una cosa non sapeva, o era incerto, di non dire : « Io so)), ma diceva : « Non sono sicuro, andiamo a cercare )), e faceva cercare a noi, ed eran dolori se noi si mostrava inesperienza nel maneggiare e comprendere i dizio– nari, e le abbreviazioni. Una volta entrò in iscuola con una pelliccia, una di quelle !Pel– licce di orsetto che lo infagottava tutto. Bisognava vedere il bene c4e voleva a quella sua pelliccia: la consegnava con uno sguardo significativo, come dire al Monti : « guarda che è cosa di molto valore)), e Monti la deponeva su di una sedia con delicatezza e riguardo come fosse stato il manto di ermellino di un re. Quando poi leggeva quel gran poeta d'amore, che è il Petrarca, era indimenticabile : egli ne scopriva tali bellezze e tali dolcezze che anche oggi certi versi ritornano su le mie labbra. Ma per quello che la mia memoria ricorda, non mi ipare che egli facesse gran consumo di estetica e di ermeneutica. Ohe il Car– ducci fosse un ignorante in letteratura oltre che in storia ed in filosofia, ? L'ho inteso dire recentemente da alcuni sapienti, molto ermeneutici. Si divertiva a discutere con amabile grazia con l'abate Muratori, quell'uomo di tanta saggezza e di tanta dottrina, il quale, dopo parecchi secoli di petrarchismo, si mise a fare col dovuto rispetto le sue giuste osservazioni e rimostranze ai sonetti e alle canzoni del Petrarca. Certo che per amare il Petrarca bisogna obliare tutti quei secoli di sonetteria italiana, la qual cosa in verità non è facile. E bisogna forse anche pensare che il sonetto, al tempo del Petrarca, doveva apparire come qualcosa di giovanile e di fresco, balzato fuori dal cuore del poipolo nuovo d'Italia e poi temprato all'incudine dei poeti dell'arte : un compon imento di una ben de– terminata misura con una fronte, e con una sir.ma; e qualche volta veniva bene la fronte, e qualche volta veniva bene la sirma sol– tanto. Rarissimamente tutto il breve componimento era perfetto. Ma che importa ?✓Era una fiamma lirica di pianto e di rim1Pianto, di ebbrezza e di voluttà, di morte e di vita che si attorcigliava in– torno ad una donna, la quale poteva essere Laura, o non Laura, o Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy