Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

164 A. Panzini La lingua italiana era per lui il vessillo d'Italia, dopo il tricolore della Rivoluzione, s'intende. Ricordo lo spavento che colse noi tutti un giorno che venne a scuola per fare la relazione dei lavori scritti che gli erano stati presentati. Ne esigeva per lo meno tre o quattro all'anno, li cor– reggeva con diligenza, poi li riconsegnava doipo breve suo giudizio, così come un professore di scuola secondaria. · ùra l'autore di uno di questi compiti sedeva lassù in alto, e Giosue Carducci gli fece volare il quadernetto sopra le nostre teste dicendo: - Scriva in tedesco, scriva 1 in francese, ma non mi scriva più in italiano. Un'altra cosa a cui egli teneva moltissimo era ajppunto quella a cui nelle scuole, per quanto mi sappia, si tiene pochissimo, cioè leggere, nient'altro che leggere. Durante le lezioni di magistero, saliva su per i banchi, si metteva lì, vicino a uno scolaro con un : - Legga lei. - E poi stava a sentire come un maestro di musica ascolta l'armonia degl'istrumenti. Se il suono non gli andava, fa. ceva un brutto segno di dispetto con la testa, interrompeva e accen– nava a un altro scolaro di continuare . .Aippenaperò sentiva un certo ritmo, una certa voce ben modulata o commossa, la assecondava con la mano con il diletto di un musico. Naturalmente si trattava di scrittori dal grande !Periodare, il Guicciardini, il Machiavelli, il Boccaccio. Ma era difficile leggere bene anche autori dal periodare sciolto e vivace, come il Novellino) le favole dell'Esopo volgare. Come gioiva il Carducci a quella giovinezza di nostra dolce favella! Oggi un professore di Liceo non -oserebbe leggere il Novellino) l;indimenticabile libro del bel parlar gentile. E le favole, poi! Veniva a scuola regolarmente alle tre, dopo mezzogiorno, tre .volte la settimana, e vi rimaneva talvolta sino alle cinque, l'ora di andare a mangiare; modesti pranzi per noi studenti alle trat– torie suburbane, che si aggiravano tra i venticinque e i trenta. soldi, comprese le caldarroste. Entrava con un'aria accigliata, dava un'occhiataccia intorno per vedere se c'erano estranei. Ciò lo seccava moltissimo, perché se alle sue lezioni cattedratiche, nell'aula grande, potevano venire tutti, alle lezioni di magistero non voleva che gli scolari. - Filo– logia, :filologia ! - diceva come un ufficiale dice : - Esercizi, eser– cizi 1Pratici in piazza d'armi. E se vedeva estranei, e ve ne erano sempre, diceva: - Avverto i signori o le signore che qui si fa :filologia. BibliotecaGino Bianco

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