Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929
162 A. Panzini Cittadino MastaiJ bevi un bicchierJ non mi piacevano. Sentivo che erano come un piccolo verme, che poi sarebbe diventato un grosso verme; e il frutto bellissimo della sua ipoesia ne avrebbe sofferto col passare del tempo. In quegli anni nessuno dubitava che la Libertà non dovesse regnare con potere assoluto. La Scienza era la gran dispensiera e cuoca di ogni banchetto intellettuale, e bi– sognava che tutti mangiassero le vivande che lei preiparava. Libertà sì, Libertà in tl,ltto, ma non libertà di proclamare che molte pie– tanze della Scienza erano ipessime. Un giorno, e per l'appunto nel 1882, la Scienza proclamò che il cervello di Garibaldi era eccellente con la salsa della pietrificazione, e the tutti i· grandi uomini, volenti o nolenti, dovevano essere pie– trificati. Questa volta Giosue Carducci si ribellò. La cucina della Scienza probabilmente da qualche tempo gli pesava su lo stomac o, benché robustissimo. « Lungi da questi uomini civili, - egli escla ma, - che non rispettano la volontà dei defunti, lungi da questi scienziati che pietrificano gli uomini, lungi dalla civiltà tiranna, dalla repubblicrh sofista, dalla scienza ciarlatana.>> Io non ero allora in grado di giudicare; ma quella figura di baccante che sta in iprinc~pio delle Odi Barbare) benché si con– torcesse e mostrasse i vezzi del fiorente petto J mi lasciava un po' freddo. Molto classica, ma troppo marmorea. Molto più efficace sui miei sensi era la monaca di Monza : « Una bellezza sbattuta, sfiorita, e direi, quasi scomposta. >>E poi quella ciocchettina di capelli sur una tempia che usciva fuor della benda monacale! Ma lasciàmola là. Vero è che, nella scuola, di quella sua passionalità, contro il romanticismo non era prQprio nulla. Quando mori Giovanni Prati, il maggior ipoeta dell'arte romantica che allora vivesse (ahi, po– vero poeta, chiamato allora, per disprezzo, cesareo) perché cantò la casa di Savoia!), mi ricordo come il Carducci venne in isc11ola tutto turbato, é improvvisò parole cosi commosse, cosi dolorose, cosi superbe c he noi ve demmo l'ala lirica di questo poeta battere ancora i cieli, mentre.il suo corpo e.!'._a comiposto sul Jetto funebre. Contro il D e Sanctis, sì, mi pare che ce l'avesse un po'. Non che non ammirasse la sua analisi, così sottile e minuziosa indaga– trice di ogni mistero della bellezza, ma non gli ipiaceva che il critico si sovrapponesse al poeta, e che il libero cielo delle Muse diventasse una specie di chiesa di cui il De Sanctis era il titolare che secondo suoi criteri collocava santi e béa'ti sugli altari e nelle cappelle. BibliotecaGino Bianco
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