Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

LETTERA AL MAESTRO ARTURO TOSOANINI. · Caro 'l'oscanini, la sera del 26 dicembre alla Scala, quando, finite le ovazioni, hai alzato la bacchetta per cominciare i Maestri Cantori) un amico che puntando il binocolo cercava d'esserti almeno cogli occhi vicino, ha creduto di vedere per due volte il tuo braccio ricadere sul vuoto leggio quasi che la commozione sotto quelle ondate di consenso, di reverenza e d'affetto avesse toccato anche te sui tuo altare e i tuoi nervi tesi si fossero per un attimo addolciti e piegati. Fu un'illusione ? Certo mai, chi t'ama, t'amò quanto in quei pochi secondi, perché la commozione ha questo vantaggio, che accomuna forti e deboli; ma è un vantaggio solo pei deboli, e i forti perciò la scacciano dall'animo loro, OV\'ero, non potendo d'un colpo cacciarla, la celano dietro un volto accigliato e un corpo i:rp.mobile. Tu sei tra costoro, cioè tra i forti che per tenere alta la coscienza e vibrante l'intelligenza hanno bisogno più di solitu– dine che di compagnia. In una professione che t'obbliga a vivere giorno e notte tra una folla d'uomini e donne, tu sei l'uomo più solitario che io abbia incontrato: tanto solitario e desideroso, anzi bisognoso, di soli– tudine che il perfetto ordine da te imposto a tutto quello che tu go– verni, luci, voci, corpi, scene, strumenti, m'è talvolta sembrato quasi un modo per te di ritrovare e mggiungere quella tua ambita solitu– dine dentro un mondo ridotto da te stesso all'armonia: un mondo cioè dove ogni cosa del tempo e dello spazio segua finalmente felice la sua orbita e la sua legge, e tu, solo nel centro, possa dalla penombra per qualche istante abbandonarti a goderne la concorde bellezza dimenti– cando che essa è l'effetto della tua volontà. Allora, sottovoce, gli occhi socchiusi, anche tu canti; e le braccia e la bacchetta bianca e quella mano sinistra lunga distesa tagliente e tntto il tuo corpo snello se– guono il ritmo beati : e il ritmo non è più nella tua memoria, è nel tuo stesso sangue. Ma che una recluta del tuo piccolo esercito sbagli d'un ette, a entrare, a cantare, a suonare, e tu scatti perché prima della tua intelligenza quello ha ferito la tua fel:i'cità e- distrutto la tua sovrana solitudine. Ho detto sovrana, e quasi avrei detto divina perché il direttore d'orchestra mi sembra nell'arte la più palese immagine di Dio : che è dovunque e non lo vedi; che lo senti dovunque e non lo pensi; e senza lui niente sarebbe; e quando tutto è giusto e ci asse– conda, nessuno l'invoca; ma che una briciola di male entri nel congegno e lo guasti o lo fermi, e ·subito non chiamiamo e accusiamo che Lui. BibliotecaGino Bianco

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