Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929
222 U. Fracchia genza la gioventù. Guendalina era bella, era sana, era sola al inondo, era infine libera e padrona di sé: e accolse con tanta gioia quel dono che le veniva dai suoi vent'alllilli che fu proprio lei a ,-.;cegliereper il suo bambino H nome di Benvenuto. liI1 realtà non avrebbe potuto sceglierne uno più appropriato, perché appunto grazie alla na,scita di quel bambino io potei sosteinere le gravi dif– ficoltà della mia condizione. Presi i miei :figli con me, affidai Do– lores alle cure di Guendali!ia, ed essa nutrì insieme del suo buon latte l'orfanella e il bastardino. Si riaprì questa casa. Tristemente si riaprì. Nolll era più quella di prima. Troppo dolorosi ricordi la abitavano, piccola forse per contenerli tutti, troppo grande per noi e per la vita che ormai potevamo condurvi. Nessuno osava più nemmeno poosare che io fossi colpevole della morte ,di mio padre. Eppure io, solo fra tutti, continuavo ad avere l'animo amareggiato da quel pensiero. « I bisogni di quattro bambini piccoli e di una donna, abituata a .servire sono pochi. Non occorrO[lo grandi ricchezze per sodisfarli. Ma io, ,sempre più deciso a 1110n toccare un soldo dell'eredità di mio padre, fui preso dallo strano capriccio di crearmi ullla nuova fortuna per conto mio, e la.scia,r quella, intaitta, ai miei :figli. Feci dunque atto di donazio111e, a loro favore, di tutti i miei beni, salvo una pal'te che in cuor mio destinai al piccolo Be1J1venuto.VaJ.eindomi poi del credito che il mio nome godeva in tutta la provincia, come quello del grande avaro che era stato mio padre, mi lanciai 111egli affari. Non avevo nessm1a esperienza, ma le mie prime speculazio111i nbn furono ,sfortunate, e accadde a me come al giocatore novizio, ehe vinca le prime partite. Mi lasciai trascirnare da1l'entusiasmo in imprese sempre rpiù vaste e arrischiate finché, dopo un paio fl'anni, dovetti ricorrere agli usurai nel ,disperato tentativo di riac– ciuffare una fortuna che mi a,veva decisamente voltato le spalle. Anziché salvarmi, fu quello il principio della mia rovina. La parte òi beni che avevo destinata a Boovenuto fu divorata in un attimo. Quando i miei creditori si avvidero che io non possedevo più nulla, trallll1e i miei debiti verso di loro, impugnarono la validità· della mia donazione. I beni ,dei miei :figli furono ~potecati e, le rendite, che erano ingenti, a1I1daronoper molti anni, e i111 parte vanno am– cora, a iSOdisfarela loro inesauribile cupidigia. Se allora non com– misi la sciocchezza di uccidermi fu soltanto rperché gli avvenimenti non me ne dettero il tempo. Molto debbo anche alla straordilllaria energia ed intelligenza di cui Guendalina dette prova in quelle dis:ferate circostanze. <<Lamia mortificazione, il disprez.zo che io a,vevo per me stesso, il peso degli errori commessi, 1110111 b astando a punirmi, la famiglia di mia moglie, sempre quell'implacabile Generale, aissnmoodo la BibliotecaGino Bianco
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