Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929
216 U. Fracchia quella sera di luglio, e alcuni in maggior misura degli altri, e più di tutti un giovane ufficiale di cavalleria, il tenoote Arold,), che era fratello di latte di Guenda e che il Generale a,veva cresciuto come un figlio proiprio, benché ne avesse abbastanza dei suoi. Egli volle ad ogmi costo giocare con me, o meglio contro di me, dicendo che io ero troppo ricco, che un buon gruzzolo del mio denaro sarebbe passato volentieri nelle sue tasche, che era sicuro di togliermi il ma-1tolto, ed altre sciocchezze alle quaJi risi di cuore. Ci mettemmo al tavolino. Egli fece il mazzo. Al primo colpo lo sba!Ilcai. Volli alzarmi, ma mi afferrò per le braccia, e mi costrinse a sedere. In capo a un quarto d'ora tutto il denaro che egli aveva in tasca era accumulato dinalilzi a me. Feci nuovamente atto di vole11mialzare, dicendogli che avevamo scherzato, e che poteva pure riprendersi il denaro che era suo. Per tutta risposta Aroldo, che intanto si era fatto pallido e torvo, mi gettò il mazzo delle carte sul viso. Cercai ancora di ridere, gridandogli, mentre tutti i presenti si mettevano fra noi due per timore che ci gettassimo l'uno sull'altro, di andare a letto, che il sonno lo avrebbe guarito. Mi rispose che ero un ladro, e che, nolil contento di aver ammazzato mio ·padre per impadro– nirmi dei ·suoi beni, baravo con le carte per derubare gli amici. << Fu una scena ilildescrivibile. Ebbi la sventura di 1I1onperde1·e la mia calma. Vidi l'effetto che quelle parole produssero su coloro che ci erano intorno. AlcU1I1i di essi si gettarono su Aroldo e cer– carono di imbavagliarlo; altri mi presero [)er un braccio e, ten– ta,ndo di al101I1tanarmi di là, mi dissero che io 1I1ondovevo dare il minimo peso alle sue [)arole, che nessuno aveva mai né udito né detto nulla, di simile e che egli era ubbriaco. Mentre si sforzavano di calmarmi, scambiavano fra loro occhiate d'intelligenza e si tene– _vano pronti a turarmi gli orecchi coi fazzoletti, se mai Aroldo, sfuggito al bavaglio, avesse ricominciato a gridare. Tutte qu€-lle manovre mi misero ÌIIl forte sospetto. Mi svincolai, corsi ad l\roldo, io stesso lo liberai dalla stretta in cui si dibatteva, e, a,fferr:'.l,tolo p-er le braccia, lo tenni fermo sulla sedia, dove era seduto. Nella sua collera di ubbriaco egli non tacque IIlulla. Seppi da lui, senza bisogno di stràppargli le parole con le tooaglie, la bella fama che godevo nel paese. Egli anzi mi dissé che tutti i presenti, nessuno escluso, mi tenevano in co1I1todi parricida. E che anche Guenda, anche mia moglie, anche la madre del mio bambino, e la mia stessa madre, Sajpevano della mia colpa, e mi sopportavano soltanto o per avidità o per paura. << Ciò che immediatamente mi dette la certezza che non tutto quanto egli andava dicendo fosse da attribuire alla sua immagina– zione sconvolta e al suo cieco furore, furono le deboli negazioni di quei pochi eh.e avevano osato rimanere ancora presenti a quella BibliotecaGfno Bianco '
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