Pègaso - anno I - n. 1 - gennaio 1929

\ di Renato Serra 19 della ** : lei è lì un po' ,sbattuta, piccola; affondata nel guanciale: e io m'inchino sopra- di lei piam.opiano !Piano; mi abbasso per tutt<l un'eternità. Sulla tua bocca cara, **: vuoi un po' di bene ,a Re– nato? Maggio. Non è più giorno e ancora non è sera. U n cielo tenero, ,la cui tutta la luce si è ritirata, e ancor 111.on è venuta la brunitura, lq splendore nottumo; neanche una stella; n è colore nè ombra; un gran vuoto dolce : un po' geHdo : dei sospiri !Passano come hl'ividi. Perchè non mi sei vicina, piccolo a.more lontano? rabbrividire in– sieme e stringer-si l'uno all'altro, lwsciam.docadere i minuti. a uno a uno nel vago; i tuoi capelli contro il mio vi,so, le tue dita intrec– ciate a.Ile mie. Perchè? Dove sei **? Perchè, perchè t'ho conosciuta così tardi ? Se t'avessi incontrata prima, quante sere, quwnte ore avrei ipotuto sperare, lunghe e vaghe, con te : son cosi lunghi i giorni ,dei vent'anni! Mi jpa,re che avrei potuto chiedere alla vita come una sosta; un poco di tempo per volerti bene e per non pen - sare aid altro; giorni di pausa, di vacam.za , vuoti, immobili, eterni, solo per noi. C'è un momento di tregua nella vita, quando ancora non è fis– sata, legata a una straida, spinta !Per la discesa fatale : un momento in cui si può sperare di rubare qualche cosa al destino, di vivere, almeno un attimo, per sè; non per la morte. Poi si è ripresi ; si torna a lavorare inutilmente per la felicit_à che è fallimento, per la vita che è tutti i giorni diminuzione, consunzione, vecchiezza, di- sfacimento. . Dove sono andati quei giorni in cui avremmo potuto amarci senza p:ensare al domani, consumando per noi soli quel credito che la disgrazia, il mondo, le necessità comuni e fatali pure accorda.no una volta tutti ? Dove li abbiamo sciupati, quei giorni che non tomano più'? Parlo ,per me, cara; for,se a te è stato ben meglio cosi. Ma io [>ell!So che t'ho conosciuta solo per sentire quello che perdo in te· e il cuore mi duole di-un dolore amaro. Son costretto a ' . . . pensare a te sempre come a quakhe cosa di passato, di fimto; ogm bacio è l'ultiimo. Quando tu parti, io non posso siperare di rive– derti. Questi mesi di Cesena, cosi turbati e combattuti, sooo sta.ti molto probabilmente tutto quello che ci era permesso. Ohi sa se c'incontreremo se ci parleremo ancora! Non credere, amore, ch'io non mi fidi di te, della tua 1eggerezza. Il cuore vorrà forse, e non basterà. Non vedi che ora con tanto desiderio di te, io non so trovare il modo di venire a' Firenze ? Sono invischiato da tanti ritegni. B1bliotecé! Gino 81.anco-

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