Pègaso - anno I - n. 1 - gennaio 1929
G. DELEDD.A., 1l vecchio e i fancù,lli 121 « gli oleandri in fiOII'e,ool loro profumo dolce-amaro, ricorda,no la pas– sione che è vita e morte assieme, e l'usignolo ne traduce con le sue note l'armonia fatale»; « ed entrambi si scolorirono in viso, tramortiti dalla, rivelazione del loro amore»; « troppo, da qualche tempo in qua, aveva , coscienza della stranezza della sua situazione>> (tre astl'atti); « Voi mi aiuterete. - In che senso ? [è una fattucchiera che risponde cosi]. È tempo di finirla, con questa storia di. credermi una strega»; « allora appoggiò i gomiti al ripiano cli legno [ è Francesca che sta per rubare al nonno], e il mento alle mani intrecciate: e stette li come affacciata ad un abisso che l'attirava con le sue ombre fatali»; << Adesso mi cam– bio di vesti ,e poi vado a fare una commissione per zio Ulpiano » ; « per solo spirito di mal-vagità la violentava [l'acqua del pozzo] con le sue palle di neve»; « il portone e le finestre si spalancavano come sospinti da wn potente respirn interiore»; e la madia, p. 88, è chiamata, non so perchè « vasto recipiente di legno». Si rvuol far credere con questo breve florilegio, tratto dalle pagiue dove il lapis s',è fermato con un frego indispettito, che Grazia Deledda non sappia scrivere ? Ma nient'affatto. Si vuol dire che la frase è stanca, generica, desunta dal linguaggio pedestre e anodino, che infesta già troppa prosa narrativa contemporanea; e che l'errore, qui, si fa più grave, non solo perché è la Deledda che scrive, ma anche perché la ma– teria del racconto s'indovina primitiva, e il linguaggio atto a sii.g)lificarla dovrebbe rifuggir dall'astratto fraseggiare. Mi astengo dal riportare periodi descrittivi della psicologia del pastore Melis o del suo discor– rere, che solo a tratti attingono la natMa vera del persona,ggio, e s' in– tonano ad essa; ma per lo più se ne discostano, creando un irritante dissidio nel lettore che, avendo intuita la primitività di quest'uomo, è costretto a vederla tradotta, spesso, in linguaggio che non riesce a concretare i sentimenti dei persona,ggi. Solo in qualche pagina, do,·e si descrive il paesaggio, e la vita dell'ovile, o si disegnano figure in iscorcio, la De1edda riti'Ova la propria, virtù: la sua sobrietà e il suo colore. Spiace solo che ciò accada di rado; e il dispetto ci spinge a riaprire lf' molte pagine che di lei ci piacquero, col timore che non riescano a toc– carci più come una volta. Ma esso si cancella d'un tratto; e il gusto ,li. quelle pagine ci si rifà vivo; e la loro salda concretezw., che amammo una volta, è ancora fonte di giaia,. G. TrITA RosA. ANDRÉl MAUROis, Glimats. - Grasset, Parigi, 1929. Fr. 12. C'è in tutto il romanzo, - più nella prima parte: Odile, e meno, o di,ersa, nella seconda: Isabelle, - una specie d'insinuazione musìcale, che non solo corre tra le parole, ma investe le cose e le persone, sicché, chiuso il li~o, più che all'essenza di quelle, si pensa all'atmosfera che le avviluppa e le trasporta. Ma non bisogna lasciarsi prendere troppo da questa prima impre'l– sione, un po' lenta e invitante, ché altrimenti gli occhi non vedrebbero il resto. f''?> di meg-lio. Intanto quell'atmosfera non impedisce, anzi, per- blioteca Gino B 1 anco
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