Pègaso - anno I - n. 1 - gennaio 1929

A. MoMIGLIANo, Saggio dell'Orlando Furioso 109 ~te scritto, senza alcun ingomb110d'aipparato erudito o d'affaJtica,n,ti interpreùIBiioni critiche, ma, sostanzioso d'o.sserv~ioni dirette, e che non va mai, pregio inestii.mabile, fuori ,dcl ,seminato. Tante volte, seguendo un critico troppo ambizioso su per l'impalca– tura d'una, di quelle ricostruzioni « dal di dentro», di moda qualch'anno fa, mi son proposto un quesito semplicistico. L'interessato, se potesse leg– gere, croneila prenderebbe ? Per lo più monte Parnaso risponde con lampi dii compatimento e tuoni di sdegno. Novanta poi su cento l'interessato non ci <'aptsoo un :bel ,niente e crede di sognare. « Io ho voluto dir questo? Dove mai!». Soggetto degno della penna di Shaw .sarebbe un ,inoontro, nell'aJ,dilà, di Omero Dante ,Shakespea,r,e Goethe e To:1stoi con un cri– ti.oo che av,esse avuto lo stomaco di ricostruirseli tutti dal di de.ntro e star poi a v,edere come lo ,butJterebbero fuori! Ma questo «Saggio», vo- 1evo dire, di Momigliano è oosi bene intonato all'opera di cui parla, che mi riesce per,fino possibile immaginarlo, ed è il colmo, aperto nelle mani del distratto Ludovico. Al contrario di aJtri critici, il Momigliano ha cercato ,nel Furioso semplicemente quello che c'è: solo industriandosi di mettere un po' d'or– dine ndla materia del gran romanzo e ,di far capire dove convenga, leg– gendo, appoggiare di più l'attenzione. Oggi il gusto della comune dei lettori s'è fatto cosi grosso e il <more s'è così ooperto di pelo che riacco– stare al pubblico l'arte e l'umalhità dell'Ariosto è miraoolo che solo può compiere una lunga conoscenza e un ancor più profondo amore. E cosa appuratissima che l'Ariosto non lo legge quasi più nessuno. Quell'as– soluta trasipaxenza di stile pare che disilluda i lettori moderni, avvezzi a ben altl'i sfoggi di colore e violenw dii chiaroscuri. Essi si guardano bene dal confessarlo sinceramente, ma ad apertura di Orla,ndo l'im– pressione prima è sempre quella: Sta tutto qui, quel sì pregiato Ario– sto? Dei quattro poeti non c'è dubbio ch'egli sia il meno accreditato. Una certa ideacoia più o meno approssimativa della xipida e scorbutica gralllùezza di Dante tutti ce l'hanno, ~ppure come di cosa intravìista di lontano, fra due tunnel, ooi vetri appannati dal fumo, e oosi pure una qualche idea del rploro monologante e sempre un po' romantico del Pe– t1,8JJ.X',,a, o del trecitativo ad alta tensione del cantore di Clorinda: e spesso un verso d'uno dei tre (le ripe eran grommate d'una muffa; solo e pet1,SOS0 i più desertv campi; o belle agli occhi miei t<Jndelatine) è sufficiente da, solo a, rimettere nell'orecchio tutta l'orchestra. Ma l'arte dell' Ariost<> è fatta quasi tutta di smorzandi, e di versi i.solati che fac– ciano grande ,spàooone ha ben pochi. La, sua eleganza, è tutta nruicosta e il dole.e inoonto che ti soggioga quando ci sei dentro non puoi mai dire -0011 precisione da che ti venga. Non è certo un rpoema, l'Orlando, che se ne riportino motivi da, fischiettare per la strada. Vuole e comanda una lettura riposata e nccolta e un quieto fidato abbandono. Non è di quelPopere che possono rivelare il loro segreto anche a chi ci passi da– vanti in motocicletta,. Per un lettore pacchiano quelle ottave miracolose sono destinate a restare in eterno lettera morta. « Sta tutto qui?». Pare ipooo. Il libro del Momigliano è pieno come un uovo. A stringere in poco

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