Pattuglia - anno I - n. 9-10 - lug.-ago. 1942

J L romanzo e; ll fu Mattia Pascal> è del 1904; la commedia • Cosi è (se vi pare)• è del 1917. Perchè un'nutore, come Pirandello, che temeva assai ad cntTarc nella storia come uno scrittore, scrjttore nel senso di narratore, e che in questa storia si era già fatto un suo posto sicuro, cU primo piano, con «L'esclusa», « lt fu Mattia Pascal» e « la vita · nuda », si mette a scrivere per il teatro? A cinquant'anni ogni altro autore ha già tracciato il suo percorso e normalmente le sorprese avvenire sono assai rare. Pirandello, invece, si accinge proprio nJlora a.lla sua avventura più a1ta, nonostante avesse alle spalle una ricca produzione letteraria e nel giro di pochissimi anni, cioè lino al 1922, licenzierà ben 15 opere teatraJi, Ira Je quali « Così è (se vi pare)», « Ma non è una cosn seria», « I sei personaggi in cerca d'autore », « Enrico ]V», « Vestire gli ignudi». Molle delle 15 opere, è vero, vivono ancora ne1Paria, nclPambiente, nel tono proprio delle novelle e dei romanzi, sia pure con la particolare tecnica dialogata del teatro, ma sempre narrative e con figure comuni, per non dire trasferite di peso, così come sono, da1le pagine aJJa ribalta, con gli stessi abiti, le stesse parole, ]o stesso intento lolcloristico ( « Il berretto a sonagli », « La giara», « Pensaci Giacomino», « La patente », « 11 piacere del]' onestà ») ma alcune di esse sono già dentro quel clima trasparente e superiore, che lo stesso Pirandello definirà: mito. A dire il vero, non è che cominci proprio alJora, fra il 1915 e il 191'6, a scrivere di teatro. Già nel 1898, cioè in sui trent'anni, appare un suo atto unico dal titolo « L'epilogo» (poi ribattezzato « La morsa ») e un anno appresso addirittura tre atti: « Il nibbio», po_i diventati « Se non così», ora noti come « La ragione degli altri». E del 1910 è « Lumie. di Sicilia » e del 1911 « ll dovere del medico», ma non sono che digressioni occasionali, e nemmeno tutte felici, dal la sua normale fatica di narratore. Spesso sono opere scritte senzn convinzione, con una sorta di impaccio, d_j ritrosiai tanto per placare le insistenti richieste di amici come ~lartoglio e Angelo l'vlusco. lnfatti, nonostante l'esito :felicissimo di « Pensaci, Giacomino • rappresentata il 10 luglio 1911 0 al « Nazionale» di Roma, il l8 agosto dello stesso anno scrive al .tiglio Stefano, prigioniero di guerra: « Ho già finito e consegnato la. commedia -. ll 'berretto a sonagli » e ora, sempre per Musco, scrivo « Liolà » in tre atti; scriverò poi, se non me ne passa la voglia « Il cuccu » e chiuderò questa parentesi teatrale per rimettermi al mio più naturale Javoro di narratore. Non so perehè, bo gran<l'ansia di sbrigarmi». Perchè, quindi? Non di certo perchè ritenga di aver cor:ctuso la sun opera di narratore: appena J>Uò, torna alle sue « NovelJe per Lu101 VERONESI - Scena unica per ''l'uomo da/fiore in bocca., di Pirandello (1941) APPUPNIHTIAND[lllANI beJle, equilibrate, scritte a fior di pcnn.;., con un linguaggio agile e creativo tutto sostanza, e lui morto, venne trovato, appene agli inizi, tre cartelle linde, senza correzioni, battute a m·accbina, il primo capitolo di un nuovo romanzo: • Jniormazioni sul mio involontario soggiorno sulla terra ». Le ragioni c1uindi dovevano essere di altra natura, a carattere più intimo. A indagarle come si deve c'è da cogliere il significato anche di tutte le sue opere e del suo afrannoso interrogare, pcrchè il teatro di Pirandello può essere visto come un grande processo, in cui i personaggi sono chiamoti a confessare la loro vita, anche la più minuta e gelosa, quella dove si cerca di nascondere i propri ,1izi e peccati, dove Si riveste con una pietosa bugia le proprie miserie, pcrchè più nuda si affacci la verità dell'uomo. ]n alcune lettere al figlio Stefano sembra di" poter entrare in c1uesta zona riservatissima dell'anima pirandelliana. Sono brevi note, fugaci accenni, che rischiarono però come lampi di luce viva. n 3 aprile ciel 1917 scrive: « Ho quasi finito lu commedia in tre atti (parabola, veramente, più che commedia): Così è (se vi pare). Ne sono contento. E certo di una originalità, che grida .. Ma non so che esito potrà avere, per l'audacia straordinaria della situazione». Ancora il 18 aprile: « Ho finito la mia parabola in tre atti « Cosi è (se vi pore) •, che a giudizio degli runici è Ja miglior cosa che io abbia fatto finora. Credo anch'io cosi. Non è difficile che In :rappresenti Ruggero Ruggeri il prossimo maggio qua a Roma. 'f e ne terrò intarmato. .E:• una gran diavoleria, çhe potrà ave.re veramente un grandissimo successo ». E contento di questo suo lavoro; ma contento in modo diverso da come per « Liolà » ( « •.. L'ho scritta in 15 giorni, quest'estate; ed è stata la mia villeggiatura. DHfatti, si svolge in campagna: Mi pare cli averti già detto che H protagonista è un contadino poeta, ebbro di sole, e tutta Ja commedia è piena di canti e di so1e. È così gioconda, che non pare opera mia ... :.-). Si direbbe ne sia anche agghiacciato e sorpreso. Una diavoleria, che grida. Par cli vederlo assorto, con queJ suo occhio socchiuso e l'altro splendente, di fronte a questa sua opera nata quasi come per sortilegio, eppure ben uscita dalle sue mani, dalla sua mente. Sente di aver fatto la sua cosa migliore, ma 10 un senso diverso, nuo- \'Oi non narrativo. Nemmeno per la situazione audace, che già aveva toccaCo in una novella del 1915: « La signora Frola e il signor Ponza suo genero». Gli è che sotto gli occhi, ora, gli sono balzati incontro i personaggi con una evidenza imprevista, un'urgenza e una vitalità., e !orse meglio :µna prepotenza di vita insospettabiJe, ben vivi, insomma, e parlanti e urlanti e piangenti, con un loro destino preciso e insopprimibile, con una voce, un volto, due mani, una Folla intorno di esseri gesticolanti, e prementi da poterne ,.sentire le vesti, il tepore dei finti, i sin~ ghiozzi, i sospiri. Non più i] biancore soltanto della pagina e Je parole fitte fitte in fila, ordinate e fisse secondo un ritmo muto da fantasmi: ma esseri, uomini, una creazione che per essere divcrsn da quella divina, non ha che la finzione del palcoscenico. Tanto vivi ormai da non poterli respingere nè rifiutare: « ... ma ho già Ja test.a piena di nuove cose! Tante novelle... E una strnnezza così triste, così triste: Sei personaggi in cere<, d'<1utore: romanzo da fare. Forse tu intendi. Sei personaggi, presi in un dramma terribile, che mi vengono appresso per essere composti in un romanzo, un'ossessione, e io che -non voglio saperne, e io che dico loro che è inutile e che non mi importa di ]oro e che non mi importa più di nulla, e Joro che mi mostrano tutte Je loro piaghe e io che li caccio via ... ». C'è quindi da Javorare suJ ,•i"o, come un chirurgo. Se si sente questo, se si intuisce che terribile cosa sia aver tra mano queste esistenze tanto simili a quelle di migliaia e mig1iaia di esseri giù nella strada, tanto simile alla sua, ecco, c'è cli che restarne col fiato mozzo. Tutto il lavoro, quindi, si trasforma, prende un'altra direzione; non è più un rjsult-ato di poetiche, un elemento estetico: è la vita che viene a conlcssarsi; la vito nuda, la pena di vivere così, ma colta nel suo stesso farsi. Si presenta, c1uindi, la possihilita di risalire alle origini dell'esistenza, di cogliere, nella sua essenza, la sostanza cli che siamo latti; c'è, c'è, ci deve essere qualcosa che tutti ci eguaglia, tutti ci aocomuna: e quella folla di ErsiJia Orci, di signora Frola e signor Ponza, tli Padre e di figliastra, di signora Morii, di Lucia Picri, quella folJa venuta incontro e serrata appresso da tuUi i lati, lo dirà. E non sarà la realt:.ì, la parola, i sentimenti (cosa sono? ecco e-0sa sono: illusioni), ma quella pena <lentro gli occhi di tutti: quel segno che tutti ci opprime e ci ;ega come un'immensa eredità, ed è il nostl"o destino cli poveri uomini che fabbricano _ffeogni per poter csist.ere, per poter consistere. Maschere: che messe a nudo gridan<> cli dolore. Pirandello che tutto ha negato - non per negare ma per arrivare alla affermazione che sola conta - di fronte al dolore non nega più. La sostnnza è forse questa, sembra dire, l'unica .Jorse che come un filo d'oro lega le creature al Creatore. Un segno co1to cosi, sul \ ivo, che genera tanta pietà. Eeoo, l'ha detto anche la signora Penza neJ finale del Così è (se vi pare): « Qui c'è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta, perchè solo così può valere il rimedio che la pietà Je ha prestato». MARCO VALSECCHI PRONTUABIO "Non è ~iero che iu Italia 11u111• chino i mezzi. Coçerno e mecer,a. li &011protrli." d(lre, da rw4 for&e pi,) che altro'tle. Ala dare a chi? Ecco il punto. L'uomo nu<Wo in teatro non è a11cora appur&o. lmpro"vi.sare non .si può più: 11è .si po.ssono firmare più cambiali in bianco. Bi.sogna m1iovcre da una prepara::io11e metodica. Bùogna girare il mo,ulo, ,.,e,lere quel che si fa. ,,ltrove, .«tudi<ire un anno in Ruuia, un anno in Germania ed anche a Parigi. Poi, ricominciare a la\'lorare :ml serio fra noi ; e non, .s'intende, per copiare gli al• tr4 ma per tentar di scoprire, dopo la chiara con.tt(lfJevolezza delle con,1uiate oltrui, noi .stea.si. " SILVIO D'AMICO da •• 1ram<1nl<I del 11randt1 aUOrt!., 1929

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