Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980

50 C. Bittasi Valussi, N. Filippini, C. Giglio/i Sabei/i È frequente anche il riferimento alla gran varietà di mansioni che la ragazza deve svolgere nell'arco della giornata; "il 'far de tuto' appare la caratteristica della sua attività lavorativa: "Di tutto facevo, di tutto, di tutto ... da sposata e anche da sposare, lavoravo da 'butela' ( ... ) quando c'era da andare, che c'era il frumento, la polenta, l'uva, l'oliva, andavo nel campo anch'io con gli uomini e col tempo che mi restava facevo qualche vestito" (13). Fin da bambina la donna impara dunque a svolgere i mestieri di casa, a lavora- re nei campi, a prendersi cura delle bestie, a rammendare, a cucire, a occuparsi dell'allevamento dei bachi da seta e degli animali da cortile. Saper fare tutto ciò rientra nei canoni per cui, dopo una prima elencazione che pare avere il significa- to di una dichiarazione di appartenenza alla norma, le donne solitamente non en- trano nei dettagli dei lavori, ma si soffermano spontaneamente, descrivendone tecniche e modalità di svolgimento, solo su quelle attività che più le hanno impe- gnate e che sono state più significative nella loro vita. La ragazza è sottoposta ad una estrema mobilità: lavora in casa, nei campi, fuori, in misura proporzionale ai bisogni dell'azienda, in relazione al particolare momento storico o stagionale. Se la famiglia conta su un numero sufficiente di braccia maschili e la produzione copre i bisogni interni, alla ragazza viene conces- so il privilegio - si fa per dire - di dedicarsi prevalentemente ai lavori domestici e di andare nei campi solo nei periodi di punta, altrimenti può essere impegnata in campagna o dietro le bestie per tutto il giorno: '' Io ho cominciato a lavorare nei campi, allora si faceva la terza elementare ap- pena, e dopo sono sempre stata nei campi, venivano anche i miei fratelli e le mie sorelle". (14) "Prima ero la bambinaia di tutti i butini, perchè mia marna e le altre due zie erano tutte unite, capisce, e io, ecco, facevo la bambinaia" (15) '' Aiutavo mia mamma, vedevo che bisogna, perchè tribola andare avanti con la famiglia ( ... ) c'era tanta roba da lavare, tanti cesti di robe, di cache, di tutto quello che c'è ... e andavo nel fosso a lavare che ero ancora una buteleta". (16) "Mia zia mi dice, io ero una mostra di 7 o 8 anni, ·senti Gina, vien su dai C. con un mucchio di piti ( ... ) tu stai dietro e io vado davanti'; io andavo su, mi go- devo povera bambina, ci andavo e lei mi dava un po' di noci." (17) C'è una notevole differenza tra il "far de tuto" nei campi o nella casa: a diffe- renza che nei campi, la collaborazione all'interno della sfera domestica si confi- gura come apprendimento di tecniche antichissime e lenta iniziazione a segreti tramandati nel tempo, come appare ad esempio da questa descrizione del "far la lissia'': "Quando c'erano le lissie mia mamma diceva 'voialtre butelete più piccole bi- sogna che fate bollire il paiolo( ... ) e dopo ci diceva 'buttate dentro la cenere', al- lora dovevamo buttar dentro dei mastelletti di cenere già preparata, perchè la raccoglievamo, la cenere eh~ bruciavamo in casa! (... )dicevano 'bisogna che fate bollire asè il paiolo, che la cenere, che la broda, la sia bona!' (... ) 'beca la broda?' allora io l'assaggiavo col dito e becava! come il pepe! Avrò avuto 10 o 11 Bi ·iet )Gino Bianco

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