Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980
I8 Emilio Simonetta 2. Emilio Simonetta Delegato Consiglio di Fabbrica l.R.E. Philips (Varese) Non ho mai trovato tanta difficoltà come in questo periodo, a comunicare quello che ho dentro. È l'ennesima volta che tento di scrivere qualche cosa, per descrivere la situazione che vivo o che devo subire. Non c'è niente di particolare che mi blocchi. Se devo essere sincero ho una sereni- tà dentro che quasi mi fa paura, ma è una serenità molto particolare. Può succe- dere di tutto, non mi smuovo. Non c'è più niente che mi prenda, nè in bene nè in male, e questo mi preoccupa molto. Di episodi in questo ultimo tempo ne sono successi tanti. L'unica cosa che oggi mi prende è l'idea di andare fuori dalle balle dalla fabbrica: dove? come? quando? Forse sono queste le domande che mi bloccano, che mi aggrovigliano la mente. Certo lasciare la fabbrica può essere facile, è un modo per risolvere una situazio- ne ormai insostenibile, sia dal punto di vista sociale che privato. Questo rifiuto viene dopo molti anni di lavoro salariato, ma è talmente soffer- to e pieno di contraddizioni che rischia di essere frustrante. Ho in mente una serie di idee alternative al lavoro di fabbrica. Ma il fatto vero, la verità, quella che mi frusta, è che non so far altro che il lavoro di fabbrica, non ho mai fatto altro da 14 anni in poi. Cosa farei una volta fuori? Non sono falegname e nemmeno mu- ratore, ho solo la volontà e la capacità di capire che in questo modo non si può andare avanti. Che un mondo basato sullo sfruttamento, senza più valori da dar- ti, che non ti lascia decidere ma ti opprime e ti violenta, non può andare avanti, non può essere accettato come prassi quotidiana che si ripete in modo monotono. Prendere coscienza che in tutti questi anni non hai fatto grandi cose se non quella di timbrare il cartellino tutti i giorni, più o meno in ritardo, come hanno fatto tutte le migliaia di persone che lavorano con te, e un 'idea che mi va stretta, non riesco più a starci dentro. Mi ci sono voluti molti anni per arrivare al rifiuto di questa vita. Ma i giovani, oggi, questo rifiuto lo hanno già dentro di loro, prima ancora di entrare in fabbrica, un rifiuto totale delle istituzioni e quindi della f ab- brica, proprio perchè istituzione che non sentono loro. Tanti di questi giovani non vogliono neanche entrarci, conoscerla, preferiscono fare lavori artigianali, fare borse, collane, ecc. Fanno bene? Oggi dico di si. Sono ancora troppo legato alla fabbrica, alle sue contraddizioni per riuscire a liberarmi da questo rapporto amore-odio che mi ha legato per anni. Tanto mi ha dato, e troppo mi ha tolto, fino alla convinzione che il rifiuto di essa è lo sbocco naturale a tutto questo. Ma, come dicevo, questo rifiuto rischia di alienarmi, di non farmi capire qual'è la strada migliore per riuscire a liberarmi. Chi ne va di mezzo è certamente il mio rapporto con Enrica, con tutto quello che ne consegue, il rapporto con i compagni di lavoro. Rischio di parlare e di non essere capito, preso per un visionario od altro. Non credo che sia una fuga per non affrontare i veri "bisogni reali esistenti". Non ho, come si dice, mandato tutto a gambe all'aria, non sono ripiegato nel riflusso, non sono uscito dall'ese- Biblioteca Gino Bianco
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