Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979
La salute . . . . . . 77 5. La soggettività pervertita. Pensiamo che un esempio illuminante di come un discorso teoricamente corret- to sia stato praticamente distorto ce lo possa offrire l'uso da parte dei sindacalisti della problematica connessa al tema della soggettività. Uno degli sforzi più grossi che i medici, come tecnici, hanno pedantemente compiuto nell'organizzazione sindacale è stato quello di chiarire quanto la capacità operaia di ascoltare il pro- prio corpo, di valutare il proprio stato di salute e di malessere, fosse uno stru- mento efficacissimo di diagnosi precoce. La soggettività operaia usata in modo equilibrato è l'attrezzo diagnostico più sottile e sofisticato che riesce a cogliere, con assoluto anticipo rispetto ai marchingegni di laboratorio, i sintomi di una condizione di lavoro o di vita patogena. L'intervento medico corretto ha sempre insistito sulla necessità di cogliere il nesso concreto che può legare un mal di testa, una tosse fasti di osa, una cattiva digestione con una particolare situazione in cui il soggetto si trova ad esistere. Quando la soggettività di tanti individui denuncia le stesse forme di malessere, significa che esistono nell'ambiente delle cause comuni di questo disagio che possono essere modificate da un intervento collettivo. L'in- sistere sulla soggettività era un grosso strumento didattico e culturale per ridare valenza ed efficacia sanitaria ad un intervento bonificatore tutto politico. Le difficoltà, anche grosse, che sono state incontrate erano tutte inerenti alla sottostima diffusa fra i lavoratori nei confronti del valore della propria sensibili- tà. Il che conferma che anche a livello sanitario ci trovavamo a fare i conti con una subalternità culturale pazientemente costruita dalla borghesia nella propria classe operaia. Un operaio può tossire come un disperato, ma accetta d'aver la bronchite solo quando il medico gli presenta la prova schermografica oggettiva. E ciò semplicemente significa, non tanto che l'operaio ha fiducia nel pezzo di cel- luloide, quanto che ha una sfiducia congenita in se stesso, che si disprezza. Nel sindacalista medio tutti questi discorsi hanno avuto un impatto molto diverso e mette conto farci sopra qualche considerazione. O l'operatore sindacale tira, completamente preso dagli ingranaggi del mestiere, trascurando masochistica- mente tutti i segnali di malessere che il suo corpo e la sua testa continuamente gli rimandano, oppure la sua maggior sensibilità o semplicemente la sua maggior esposizione culturale a queste tematiche sanitarie gliene fanno fare un uso distor- to e deviante. Generalmente questi due atteggiamenti convivono come fasi diver- se nella stessa persona. La soggettività, per lungo tempo trascurata, repressa, non ascoltata, nel frastuono assordante dell'organizzazione, ad un certo punto scoppia. E l'attenzione a se stesso diventa ipersensibilità. Tutto diventa fonte di preoccupazione insospettita. Ci sembra esemplare il caso di quel funzionario che, quando portava la borsa con la mano sinistra, sentiva dei formicolii lungo il braccio. Questo sintomo po- teva essere interessantissimo se il suo valore fosse stato colto integralmente a li- vello psicologico e politico. Da un punto di vista fisico invece la malattia di un ''portaborse'' non ha nè un nome, nè una terapia. Il nostro sindacalista non ha pensato neppure per un momento di riferire il proprio malessere al suo ruolo so- ciale, alla sua situazione gerarchica e umana nel sindacato. Cercava invece punti-
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