Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979

68 Nicola Me/ideo Il presente scritto non vuole coprire la lacuna, né, se lo volesse, lo potrebbe. Non può certo un breve articolo mutare sensibilità ormai collaudate e assetti di pensiero dominanti. Si vuole solo suggerire, da questo versante, dal di dentro, cioè, di una situazione lavorativa, alcune possibili direttrici di indagine, alle quali per altro, studiosi di formazione psicoanalitica (il Tavistock Institute di Londra) prestano una grande attenzione. Senza pretese definitorie pertanto, ci si permet- terà di riferire quanto può emergere da una rapida e frettolosa escursione nei "sotterranei" della soggettività impegnata nell'esperienza lavorativa e di propor- re una sua integrazione sul più aereo e nobile terreno delle teorie e delle strategie che pretendono di guidare o di affrancare le moltitudini dei lavoratori. Il f andamento affettivo del vincolo lavorativo Chiunque operi in una struttura aziendale - ma il rilievo è valido per tutte le situazioni lavorative - ha modo di osservare, in sé e negli altri, comportamenti, scelte, preoccupazioni, atteggiamenti che non sono immediatamente spiegabili in termini di obbligazioni contrattuali e nemmeno in termini di conflitto tra interes- si propri e interessi della organizzazione, anche se, ovviamente, le obbligazioni contrattuali e i conflitti di interesse sembrano essere le realtà più rilevanti. Molti comportamenti, infatti, rinviano ad un qualche (presumibile) legame af- fettivo tra il singolo lavoratore e la struttura del suo insieme. Legame affettivo insolito che si costituisce a partire da una singola soggettività, fatta di carne, ossa e sentimenti, che ha bisogni precisi, concreti, che spesso si riassumono nella spin- ta istintiva e antica alla sopravvivenza. Mentre l'altro polo del rapporto, l'orga- nizzazione è, per così dire, indefinibile, evanescente e la sua insistenza nell'uni- verso affettivo del singolo lavoratore se è certa, non si sa di cosa consista: un or- ganigramma, i superiori, i luoghi, le procedure, i rapporti informali, gli ordini di servizio, il salario? Inoltre l'organizzazione è sostanzialmente indifferente alla sorte dei singoli: assolutamente indifferente se si tratta di ''uomini fatti fugacemente'', degli ano- nimi e intercambiabili elementi della massa, già un pò meno indifferente se si tratta di una di quelle persone dalle quali l'organizzazione ritiene di dovere fare dipendere le proprie sorti (i grandi dirigenti). Ed è paradossale, ma qualunque osservatore dotato di buon senso può rilevar- lo, che a questa realtà porti più amore l'omicello anonimo della base che il gran- de dirigente. Quello infatti ''dipende'' - non lo chiamano forse "dipendente"? - totalmente, per le sue poche sicurezze, per la sua sopravvivenza, per la defini- zione del suo ruolo nella società: per lui ''dipendere'' è fondativo della sua identi- tà; questo invece, molto più dell'altro, sa cosa vende e in cambio di che cosa: il rapporto non è certo paritario, ma c'è almeno una reciproca individuazione e le variabili oggetto della transazione sono comunemente concordate. Del dirigente si dice che ha un legame fiduciario con l'azienda. · Abbiamo parlato di "amore" per designare quel sentimento che lega il dipen- dente alla organizzazione cui appartiene.

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