l'ordine civile - anno II - n. 10 - 15 maggio 1960

b pag. 22 tiva. Ho sempre rispettato il princ1p10, posto dai miei maestri della Sor.bona, che la storia della filosofia non consista nel fabbricarsi una dottrina per attribuirla al filosofo di cui si parla, ma al ·,contrario nel non attribuirgli che ciò di -cui si è. ragionevolmente certi che egli abbia pensato e detto . .Rinunciare a inventare per comprendere meglio è una grande regola di metodo in materia di -storia delle idee. E' a forza di trattare San Tommaso da filosofo che ho dovuto finalmente riconoscere che egli· non filosofava come gli altri. Non mi congratulerò mai abba– stanza con me stesso per aver tenuto .duro contro l'unanimità dei critici che mi rimproveravano di esporre la sua filosofia secondo un ordine teologico. Non- mi sono mai arreso -su questo punto poichè, eccettuata la possibilità di trovarne il modello nello stesso San Tommaso, avrei dovuto inventare -questo modo di esporre la •sua dottrina per poterglielo attribuire. ,Coloro -che si illudono di saperlo fare -cominciano semplice– mente col ridurre la dottrina di San .Tommaso a. quella di Aristotele, dopo di chè diventa facile esporla secondo l'ordine che lo stesso Aristo– tele assegna alla filosofia, ma è proprio questo il motivo per cui tanti sedicenti « tomisti » hanno mancato il senso più profondo della dottrina del loro maestro. D'altra parte, quali siano i suoi meriti, la scolastica non ha mai brillato per senso della storia. In fondo essa la disprezza un po-co e ne .diffida. L'Università di Francia la pratica meglio e l'intelli– genza della dottrina di San Tommaso ne ha. largamente beneficiato. Non si può interpretare una teologia come se fosse una filosofia, ma il modo con cui un teologo studia ciò che chiama teologia è identico al modo di studiare come un filosofo concepisca la filosofia. Un giorno dunque mi apparve necessario esaminare più da vicino la nozione di ciò che lo stesso San Tommaso chiamava « teologia » e il primo risultato di questo sforzo fu di dissipare una illusione diffusa e di toccare la vera natura di tale disciplina. • • Si pensa comunemente, o perlomeno lo si dice, che qualsiasi con– clusione le cui premesse siano -conosciute alla sola luce della ragione sia necessariamente .filosofica. Questo è vero, ma subito dopo si aggiunge che, in quanto filosofico, questo tipo -di ragionamento non potrebbe trovar posto in teologia. Un'altra maniera di esprimere la stessa idea è di dire che qualsiasi conclusione teologica deriva da un sillogismo nel quale vi è almeno una premesse creduta per fede. Questo modo ,d'intendere la teologia è vero in ciò che afferma, ma insufficientè in •ciò che nega. E' esatto -che la materia della teologia_ soprannaturale sia :il rivelato propriamente detto, cioè quello la cui conoscenza non è accessi,bile all'uomo che •per via di Rivelazione. Ora il rivelato come tale non può essere ricevuto che per fede. Si ha dunque ragione di -dire che qualsiasi ragionamento teologico argomenta a partire dalla fede e, di conseguenza, non è valido ·che per degli spiriti che ade– riscono alla fede. Ma non è tutta qui Ia ,questione, poichè dal fatto -che una·· conclusione di fede non ,possa appartenere alla filosofia non ne segué che una conclusione puramente razionale non possa appartenere alla teologia. Al contrario è caratteristico dell'essenza stessa della teo– logia di tipo scolastico il fare largamente e liberamente appello al ragio– namento •filosofico. Certo in quanto richiede la fede essa è una teofogia scolastica, ma è per l'uso caratteristico .che fa della filosofia che è una teologia scolastica. Si può comprendere questa posizion~ solo cercando di comprendere il senso altissimo che ebbe San Tommaso della .tra_scendenza assoluta della scienza ·teologica su qualunque altra scienza, ivi ,comp_resa la teologia naturale o metafisica. Chiedo il ,permesso_ cli insistervi, poichè si tratta di un'ide~ facile a comprendere ma che molti rifiuteranno d'ammettere e alla •quale d'altronde occorre un po' di tempo per abituarsi. San Tommaso definisce la scienza sacra sino dalla prima questione della Somma teologica, ma l'intelligenza di ciò che egli dice in questa occasione suppone conosciuto ciò che dirà molto più avanti della .fede. E' solamente nella prospettiva della fede come virtù « teologale », cioè •partecipante alla natura divina, che si dà un senso concreto alla nozione tomista -di teologia e che, intanto, si comprende la necessità di situarla a parte dalle altre scienze, in un ordine che sia al di fuori di esse e non semplicemente al di sopra. La teologia non ·è una scienza superiore alle altre nello stesso ordine; ·essa non è una transmetafisica perchè non vi potrebbe essère continuita di natUra fra il naturale é il soprannaturale. Per la stessa ragione il rapporto fra la teologia e le altre scienze non è dello stesso genere di quello delle altre scienze fra loro. Non si può dunque concludere dalle altre scienze alla teologia. Per esempio non. si può dire che la relazione fra la teolo.gia e la metafisica è la stessa di quella fra la metafisica e la fisica ; bisogna dire che essa è analoga. In effetti, il caratt-;re divino della virtù di fede, attraverso cui noi par– tecipiamo alla scienza divina, è quello stesso che ·permette alla teologia di assumere e di assii:µilare ·gli elementi derivati dalla filosofia e alle altre discipline scientifiche senza perdere in questo la sua trascendenza o lasciarsi contaminare da esse. S.iamo arrivati così al cuore della questione. E' in questo spirito che conviene aggredire il problema, famoso nelle scuole, della legittimità religiosa di quel tipo di teologia -che viene chiamato "scolastico ». Si può ben chiamarlo famoso questo problema dato che fu uno dei .focolari della Riforma. A ben guardare lo è ancora e i nomi di Lutero per il passato e di Karl Barth per il presente bastano a .provarlo. E cioè: se la teologia è veramente ·una scienza divina in cui non si 1 parla mai di nulla -ohe non sia Dio o che non sia conosciuto in una partecipazione alla scienza di· Dio { quella· che Dio ·stesso pos– siede, o che è), come mai i teologi scolastici osano comprometierne la .,d a l'urdinè civiJe trascendenza mescolandovi delle conoscenze accessibili alla luce naturale della ragione? La risposta a questa difficoltà si trae dal princ1p10 stesso a cui si ispira. Nulla sfugge alla scienza che Dio ,ha di se stesso. Conoscen– dosi egli conosce ugualmente tutto c10 -di cui è o può essere causa. Per la partecipazione umana di questa scienza divina che è, propria– mente, l'analogo di quella, •bisogna che la nostra teologia sia capace d'includere nella sua conoscenza di Dio quella della totalità dell'essere finito in ·quanto dipende da Dio, e, di qui, la totalità delle scienze che se ,ne dividono la conoscenza. Essa le rivendica come sue ·in quanto incluse nel ,proprio oggetto. La conoscenza ch'essa ne ha, se le conosce com~ incluse sotto la scienza divina, non la naturalizza pi'ù di •quanto la scienza che Dio ha delle cose comprometta la sua divinità. Non è necessario che una teologia sia «scolastica», ma essa può esse:rlo e la sua .possibilità come tale non ha senso che a partire da questa •posizione fondamentale: tutto può essere incluso in una teologia di questo genere senza che essa. cessi di essere una, poichè « essa è come una sorta d'impronta in noi -della scienza divina, legge unica e semplice di tutto». La teologia è dunque al vertice .Jella gerarchia 'Clelle scienze, in ~nodo analogo a quello con cui Dio è il vertice dell'essere. A questo titolo trascende tutte le divisioni e tutti i limiti che include nella sua unità senza confondere. Essa contiene tutto il sapere umano in modo cmirente, nella misura almeno in cui giudica buono assimilarlo a sè. ! E sia! Passi per ·quanto riguarda la teologia! si dirà. Ma che ne è della filosofia in quest'affare? Mobilitata così dalla teologia per fini che non sono i suoi, non c'è paura che nell'avventura essa perda la sua essenza? Sì, in un senso, ma essa guadagna nel cambio. Il rimprovero fu rivolto a San Tommaso. Dei teologi -che si preoccupavano più della sorfo della scienza sacra che di quella della filosofia, gli rimprovera– van~ di mescolare l'acqua della filosofia al vino della Scrittura, ma egli confutò l'argomento con un paragone tratto da quella stessa fisica chej gli si rimproveràva di usare. In una semplice mescolanza - rispo– se L i componenti conservano la loro natura e sussistono in seno al composto ·come il vino e l'acqua si ritrovano nel vino annacquato, ma la teologia non è una mescolanza, non si compone .Ji elementi eterogenei di cui gli uni verrebbero ,dalla filosofia e -gli ·altri dalla fede nella parola di pio. Tutto vi .,è omogeneo a dispetto delle differenze di origine: « Co– loro_ che ricorrono ad argomenti filosofici in materia di Sacra Scrittura e li mettono a servizio clella·-fede no,:; mescolano l'acqua al vino ma cambiano l'acqua in vino ». Traducete: essi cambiano la filosofia in teologia come Gesù cambiò l'acqua in vino alle nozze di Cana. ·E' così eh~ la saggezza teologica, impressa nello spirito -del teologo come il sigillo della stessa _scienza di Dio, può integrare la totalità del sapere alla sua trascendente unità. Ut sic doctrina sit velut quaedam impressio divinae scientiae ... Quale bagliore in queste ,parole che ,bisognerebbe avere sempre sotto gli occhi leggendo San Tommaso! Esse contengono la risposta alle domande im– portune che non cessano di assµlire il -pensiero del suo storico, e .parti– colarmente a questa: come la speculazione puramente razionale può· essere inclusa nella teologia senza corrompersi o corromperla? Perchè ,bisogna che questa filosofia resti razionale per essere utilizzabile dalla teologia e che la teologia resti se stessa per poterla utilizzare. La famosa formula: la filosofia ancella -della teologia, non ha altro senso. Perchè q_uesta ancella ·possa servire ·bisogna -ohe non sia distrutta. Ed è anche vero che l'ancella non è la padrona, ma è della casa. Tentando di chiarire questo punto nella Somma teologica, al terzo articolo della priina questione, San Tommaso ricorre a un curioso para– gone che è strano sia stato così poco commentato. Può essere clie, riflet– tendovi, si sia •un po' spaventati cli vedere dove conduce e che si abbia paura di smarrirsi seguendolo troppo lontano, tanto più che lo stesso San Tommaso non dice fin dove desidera che lo si segua. Ad ogni modo ecGolo qui, per poter precisare il giudizio. ,La psicologia di Aristotele, che San Tommaso segue in questo, di– stingue i sensi propri '(vista, udito, tatto, ecc.)., ciascuno dei quali ha pei- oggetto una sola classe di sensibili ( il colore per la vista, il suono per l'udito, ecc.) -da ciò ,che essa ch.iaina il senso comune ( sensus com– nmnis), inteso non come l'ordinario buonsenso, ma ·come un senso in– ~rno la cui funzione propria è ,quella di comparare le sensazioni dei !ensi esterni, di distinguere le loro differenze e .finalmente di giudicarle. La vista non sente (salvo -che nei poeti), ma essa non sa di non sentire poichè è interamente presa dai ,colori ·ed ignora ciò che è il suono. Il senso comune invece lo sa. E' per suo merito che noi sappiamo che ,entire non è vedere, che toccare non è sentire e così via. Ecco dunque un senso che, senza per-dere la sua unità, può considerare una molti– plicità di conoscenze di origine diversa, che esso non ·produce ma che .ha il potere di afferrare, .distinguere, giudicare .. Bisognerebbe ricordare quest11 nozione di psicologia scolastica a ·causa dell'uso inconsueto che ne ha fatto ·San Tommaso. In un paragone -preso da lontano egli assimila ,la teologia al senso ,comune ,e le discipline filosofiche ai·. diversi sensi propri. ·Così, dice in ,conclusione, « nulla si oppone al fatto che delle facoltà o delle scienze inferiori (simbolizzate dai cinque sensi propri) si' diversifichino secondo la diversità delle loro materie e che, prese insieme, si sollevino alla volta d'una sola fa_coltà, o d\ una sola scienza più alta. In effetti, questa facoltà o questa scienza considera l'oggetto sorto una ragione formale più generale. Tale è il caso dell'oggetto del senso comune che include insieme gli oggetti dei cinque sensi. Parimenti.

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