l’ordine civile - anno I - n. 4 - 10 agosto 1959
l'ordine civile almeno il pregio, al di fuori degli in– teressi particolari, di essere un monito suscitatore di preoccupazioni; una buo• na occasione per un'esame di coscienza. L'Algeria problema africano Attorno all'Algeria non si sta più so– lamente formando soltanto una solida– rietà musulmana, ma, fatto nuovo, una solidarietà africana. La Conferenza di Monrovia, a cui hanno partecipato tutti gli stati indi– pendenti dell'Africa, sia araba che nera, ha al centro il problema algerino: dal riconoscimento del governo del F.L,N. all'aiuto militare alle sue formazioni, all'azione da spiegarsi presso le N.U. a favore dell'Algeria. Il Primo ministro marocchino Ibra– him, incerto tra la partecipazione ai colloqui tra Maometto V e il Presidente De Gaulle da un iato ·e la conferenza di Monrovia dall'altro ha optato ·per questa seconda. Il Sultano stesso ha poi lasciato la Francia adducendo a motivo la necessi– tà di un intervento chirurgico, e ha fat– to ritorno in patria: trattare con il gen. De Gaulle mentre è in corso l'ope– razione J umelles nella Kabylia e men– tre si riunisce la conferenza panafrica– na, ,destinata a procurare nuove e più ampie adesioni alla causa algerina, è stato giudicato meno opportuno da un uomo cauto come Maometto V, obbli– gato aO:che a una maggior prudenza dalla sua posizione costituzionale. Pare gran peso nella decisione del Sultano di rinviare l'incontro con il Presidente De Gaulle abbia avuto l'incidente d_el ratto di una commissione franco-maroc– china che doveva fare un ra·pporto sulla situazione in una certa zona del confine algero-marocchino: fatto che, risolto poi con la restituzione del francese rapi– to, aveva però rischiato di creare un incidente tra il governo ,di Rabat ed il F.L. r. in un momento inadattissimo per il primo. Tra l'altro, la morte -d'Aissat ldir, dirigente sindacalista algerino, de– ceduto mentre era in stato di detenzione nelle carceri di Algeri, aveva suscitato profonda emozione negli operai sia tu– nisini che marocchini. Intanto l'operazione Jumelles sembra segnare il passo. Il gen. Faure parla di « lavoro di Penefope >> che « obbliga a ricominciare ogni giorno· il lavoro ini– ziato». I colloqui alla sommità franco-maroc– chini sono stati però soltanto rinviati: non disdetti. E questo è un elemento positivo della situazione. Purtroppo la situazione algerina pe~– giora. Il contrasto tra il gen. De ·,Gaulle e i suoi collaboratori è ormai pubblico. Il vice primo mm1stro marocchino, pare avere avuto nel corso del soggiorno in Francia' due comunicazioni opposte : una del primo ministro Debrè, favore– vole all'integrazione dell'Algeria, l'altra, sucçessiva, del Presidente De ·Gaulle, formalmente contraria. Intanto il sangue scorre e un milione di algerini vive in una sorta di regime di concentramento, in condizioni disu– mane che le più alte autorità religiose di Francia hanno congiuntamente -de– plorato. La soluzione di forza in Algeria non esiste. Questo tutti lo sanno, o almeno, è storicamente, politicamente, evidente. Ma sulla guerra di Algeria, sul mito della Francia d'oltremare si sono co– struite fortune, politiche ed economi– che, che non intendono smobilitare. In realtà, il problema che il Presi– dente De Gaulle, come capo della V Repubblica, si trova ad affrontare è lo stesso che egli ·pose tante volte innanzi ai governi della IV: se cioè un gruppo di interessi sezionali possa imporsi in– nanzi al bene della Nazione e all'auto• rità dello Stato. La via della fo~za non esiste. Il per– correrla è fare, oggettivamente il· ,danno di tutti. Se dunque l'integrazione è un mito, come il gen. De Gaulle ha fatto dire al vice premier marocchino, perchè questa tesi non governa la politica francese? Al Presidente della Repubblica non mancano certo i poteri, in diritto, per risolvere •questa situazione. O egli do– vrà cadere sotto l'accusa di aver voluto nuovo potere solo per andare sino in fondo, nel cammino ·-dell'impotenza e dell'abdicazione? La situazione internazionale non evolve a favore delle ·posizioni di forza francesi. Vuole il gen. De Gaulle, ad– dossare al cuore dell'Europa, definiti– vamente, la taccia dell'impotenza fero– ce, dell'inferiorità tecnica che diventa oppressione civile? O rimorrà egli fede– le alle speraze che, nonostante i paras, egli ha saputo suscitare nel cuore ·di molti? Questa domanda non può rima• nere indefinitivamente senza risposta. 20 luglio 1944 Il 20 luglio scorso è stata una data importante nella vita ancor breve della Repubblica Federale di Germania. Per la prima volta sono state celebrate so– lennemente le vittime della repressione nazista che seguì all'attentato contro Hitler del 20 luglio 1944. Può forse destare sorpresa in uno straniero che a distanza di ben quindi-ci anni si sente in Germania quasi per la prima volta la necessità di ricordare con ammira– zione quegli uomini che ebbero il co– raggio ·di tentare l'eliminazione di un dittntore che l'opinione pubblica con– corda in tutto il mondo nel ritenerlo uno nei più esaltati e sanguinari che la storia abbia conosciuto. Ma chi si me– ravigliasse di tutto ciò dimostra di co- •noscere ben poco della mentalità e del– le tradizioni iedesche. In Germania colui che ha mancato fede al giuramento dato verso la pa– tria ed i capi -di essa, è un essere di– sprezzato da molti e poco accetto - è pag. 15 il minimo che si possa dire - alla opi– nione pubblica in genere. Anche se le ragioni le quali determinarono il com– portamento del « traditore » possano essere considerate valide, egli è e rima– ne un traditore. Che tale atteggiamento collettivo dei tedeschi trovi la sua ori– gine in una solidarietà per così dire tribale, dovuta ad una permanenza di certe strutture sociali sino ad epoche relativamente recenti dove la compat– tezza del gruppo verso l'esterno è que– stione di vita o di morte ( si pensi al « verschollen » del diritto germanico– primitivo ,dove cccolui che è chiamato invano » alla leva, automaticamente e senza possibilità di difesa o giustifica– zione è condannato alla pena capitale) o che invece tale rigido senso del -dove– re sia da richiamarsi alla dura e in– flessibile tradizione militare prussiana, potrebbe essere un problema assai in– teressante da esaminare. Sta di fatto, per ritornare al nostro tema, che se sui fatti del 20 luglio 1944 si interrogano tedeschi dei più diversi strati sociali 9 persone su 10, anche di– chiaratamente non naziste, risponde– ranno che- la pena per i « traditori » del 20 luglio è stata esemplare. Questa volta, nel quindicesimo anni– versa1·io di quel tragico episodio la stampa e gli ambienti responsabili ger– manici hanno preso decisa posizione a favore delle vittime del 20 luglio 1944. L'autore di un articolo di fondo sul Die W elt, autorevole quotidiano di Am– burgo, scrive: •«Io personalmente con– fesso -che nessuno dei miei conoscenti di allora appartennero alle vittime di quel giorno indimenticabile. Non ne faccio accusa a loro o a me stesso : non c'è nessun dovere all'ero,ismo. 1 Ma se • noi ripensiamo a questi o ad altri si– mili giorni dovremmo sentirci umili o– almeno raccolti in pensieroso silenzio ». Proseguendo poi ad analizzare il signi• fìcato storico di quella rivolta, l'artico– lista si chiede: « Fu un errore intra– prendere quella rivolta? Ora immagi– niamoci che al contrario nessuno· aves– se progettato o intrapresa quella rivol– ta. Che ,cosa sarebbe accaduto? I tede– schi sarebbero stati bollati in ogni t•em– po 'come un'orda rabbiosa di belve san– guinarie. Un popolo civile che senza ri– bellione avesse fatto ciò che il Nazismo aveva intrapreso con noi, non è un po-– polo civile ». Come si vede in nome delle vittime· del 20 luglio è respinto dall'articolista il peso di quella responsabilità colletti– va che nell'immediato dopoguerra sem– brò gravare su tutto il popolo tedesco .. La rivolta, è vero, fallì, ma questo de· pone a favore di coloro ,che la intra•• presero, i quali non erano né rivoluzio– nari di mestiere né gente venduta o or-– ganizzata dalle potenze straniere. Il ge• sto del conte von Stauffenberg, di an– tica famiglia militare prussiana, muti-• lato e pluridecorato, non può essere stato quello di un traditore. Non pos– sono essere dimenticate le parole che il maggiore generale von Tresc1rnw ~
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