l'ordine civile - anno I - n. 1 - 25 giugno 1959

bi l'ordine civile che fare di esso il prisma attraverso cui osservare e giudicare tutto il vasto complesso delle attività pubbliche nel settore prod-qttivo non è nè sensato nè onesto. Ben altre cose, ci pare, costituivano l'intelaiatura della posizione espressa da Ferrari Aggradi; e qualcuna di que• ste, se non nuova, espressa con un ·vigo– re ed una chiarezza che non può non trovarci consenzienti. Pensiamo soprat– tutto ad alcune affermazioni sul ruolo del Governo e del Ministero delle parte– cipazioni statali nel dirigere e nel coor– dinare l'attività .degli enti a cui, in pra– tica, le partecipazioni fanno capo, e nell'assumersi ila -responsabilità della condotta di questi e dei loro dirigenti. Abbiamo, infatti, sempre pensato che l'esistenza di ,questi enti, potremmo chiamarli direttamente col loro nome: IRI ed ENI, possono ricoprire un ruo– lo di fondamentale importanza nel pro– cesso di sviluppo -economico italiano, senza porre in discussione la struttura essenziale ·privatistica in cui sono posti a operare, ·qualora il Governo li sappia rendere strumenti efficienti di una « sua » politica economica, nel quadro della quale assumerebbero maggior pre– cisione i richiami, troppo spesso gene– rici, a criteri di economicità aziendale. Da ciò ne discende che ove il Governo manchi di una sua precisa linea di con– dotta economica, o ove non arrivi quel minimo -di specificazione che permetta· di ricayarne una norma o di apprqnta– ·re la necessaria strumentalità, non è agli enti che può imputarsi una man– canza di adesione coordinata alle fina– lità politico-economiche dello Stato. Ma qui il ,discorso si allarga. Quale la politica economica deil Governo in Italia? Quali, nell'ambito di questa po– litica, le -linee di fondo che il Ministero delle partecipazioni statali ritiene , di • poter -definire, in -modo concreto, per l'attività dei complessi industriali -di cui lo Stato, in forme .più o meno di– rette, ha non solo la proprietà, ma so– prattutto, la responsabilità? Non ci pare che possa essere suffi– ciente, per rispondere a queste doman– de, richiamarsi semplicemente, come purtroppo molto spesso viene fatto, alle ccdirettrici segnate dallo schema Vano– ni ». ·E questo ·con richiami che, nono– stante le ~splicite dichiarazioni di con– traria intenzione, non possono non ,pec- • care di genericità. La valutazione di quello che il cosid– detto 1cc Piano Vanoni » ha rappresenta– to e rappresenta nel quadro dei proble– mi dello sviluppo economico italiano, potrebbe fornire l'occasione per un di– scors~ moilto interessante al fine della comprensione, non soltanto dal punto di vista economi·co, della recente storia italiana. Ci pare indubbio, però, che il cercare di convincersi che in esso tutto e in ogni momento può essere trovato, e che ad esso ci si può, immancabilmen– te e costantemente affidare per caratte– rizzare e definire una linea politica, sia il modo meno indicato· per onorare il ricordo i chi ha legato il Su.o nome a quello schema e per valorizzarè quello che lo schema stesso effettivamente rap– presenta. Specie poi quando si ha l'im– pressione che di esso ci si serva come di una carta -da giocare sul tavolo della ca– ratterizzazione poli ~ica, per controbi– lanciare altre situazioni, non del tutto piacevoli, sul piano parlamentare. Che al di fuori dei richiami al ccPia– no Vanoni » sia stata fatta una precisa, concreta scelta di .politica economica, che tenga conto dei problemi struttu– rali, e non solo congiunturali,' e che consideri una strumentazione che, in modo organico, v,ada un po' oltre la politica dei cclavori pubblici », insuf– ficiente, da sola, anche ,come intervento anticongiunturale, non crediamo possa essere molto facilmente sostenuto. Ma forse pretendere ciò, in •questa fase della vita ·politica italiana, sarebbe non tener -conto della realtà; non tener conto cioè dei rapporti di forze e dei reciproci condizionamenti politici, che rendono estremamente diffi-coltosa una scelta; e, diciamolo pure, di quel ge– nerafo, anche se inconfessato, senso di stanchezza, -di transitorietà e di insta– bilità che impedisce la forza morale necessaria per pensare a questi « grossi problemi». Ora è indubbio che se di questa si– tuazione non si può essere soddisfatti, neppure la -si può ignorare in sede di valutazione della politica delle parteci– pazioni statali. Bisogna però tener _presente che al di fuori delle scelte politiche, nel quadro delile quali, appunto, le partecipazioni statali dovrebbero derivare la logica .della loro esistenza, il problema si ri– duce in gran parte a considerazioni a livello organizzativo e ccamministrati– vo ». (Sia -ben -chiaro •che non si inten– de con ciò operare una contrapposizio– ne tra ccpolitica >> e ·ccamministrazio– ne » nel campo delle attività produtti– ve. Si intende solo affermare che la ·pre– senza delfo Stato in esse deve persegui-– re finalità più ampie dei singoli risul– tati aziendali. In una buona ammini– strazione al ·fine della redditività si tro– va la ragione della esistenza di un 'im– presa privata; nella buona amministra– zione unita alla -decisione di agire con– cretamente, tramite essa, di -stimolo al– lo sviluppo -di tutta _,l'economia del pae– se, si dovrebbe ricercare la ragione di essere o, più esattamente, del perma– nere delle partecipazioni dello Stato). Nel discorso di Ferrari Aggradi le esigenze di una -linea politica di fondo come orientamento dell'attività del Mi– nistero e degli enti -che ad esso fanno capo, hanno indubbiamente trovato spa– zio ed importanza adeguata; ma in pra– tica, ci sembra, hanno risentito ·di un condizionamento che va ben oltre la li– nea di influenza di un -singolo mini– stero, e non poteva non essere così. lntèressanti, invece, potrebbero esse– re considerati certi accenni a volontà di riorganizzazione di alcune strutture e attività dell'IRI e dell',ENI. Non ci na– scondiamò, infatti, che un'oculata rior– ganizzazione, non vincolata dal rispetto pag. 17 di pos1z10ni precostituite, sarebbe già· un ottimo risultato, in una situazione po-1It1ca come ·quella italiana attuale. .t sarebbe, mciubbiamente, una base prez10sa per ogni futura ulteriore chia– nhcazione sulla posizione del,le p~rteci– pazioni economiche dello Stato. Abbiamo parlato di ac-cenni perchè ci pare -che l'esposizione de1 .Ministro non contega niente di più, anche se il richiamo esplicito a doveri di riserva– tezza t( per evitare speculazioni tinan– ziarie) e -qualche dichiarazione riguar– dante i futuri -reinves-t-imenti dei pro– venti che potranno essere resi disponi– bili da liquidazioni di attività, tanno pensare che qualcosa di specifico sia, per lo meno, aJlo studio. Per ora ei limitiamo a esprimere un augurio : che non ci si disperda dietro a quelli che, in fondo, non sono che falsi problemi e ·che possono, pertan;to, illudere ,con false soluzioni. Uno di que• sti, ci pare, è il tentativo di determina, re una precisa linea -di con-fine tra i set– tori produttivi in cui.si può ammettert la ,partecipazione dello Stato e quelli in cui -questa deve venire evitata. Il ri– chiamo alla definizione di settori « pro– pulsivi » non -fornisce ,certo una solu– zione, specie •quando si deve riconosce– re -che le finalità di carattere pubblico << nel momento attuale, riguardano principalmente oltre allo sviluppo dei se·uori propulsivi, le esigenze delle zo– ne sottosviluppate ed in genere •quelle industrie di base, ehe vanno ormai con– siderate quali « infrastrutture » neces– sarie per :la creazione di un ambiente economico adatto a favorire lo sviluppo degli investimenti privati ». D'altra parte non bisogna ignorare che nell'attuale struttura dell'IRI e del– l'ENI ogni eventuale alienazione di at– tività sare-bbe scarsamente giustifieata, se fatta per il solo scopo di fissare dei confini e senza tener conto di eventuali conseguenze negative sui risultati eco– nomici ,complessivi dei due enti. H giu– dizio potrehbe, •evidentemente, essere diverso se inquadrato in un processo di radicale rio:rganizzazione degli enti stessi. ,Ma per ora questo processo non è in atto o, per lo meno, non è cono– sciuto. Bisogna andar cauti con le liquida– zioni e proeedere solo dopo meditato esame di tutte le conseguenze. Potreb– be infatti veri 1 ficarsi il pericolo che con la cessione di aziende economicamente sane ( e non vediamo quali altre azien– de potrebbero essere cedute) si accen– tuassero per le ,partecipazioni statali le caratteristi-che di ricorrere per infelici iniziative economiche pubbliche e, in maggioranza, private. Vorremmo poi osservare che la determinazione di set– tori che per loro natura è opportuno rientrino nella sfera dell'attività econo– ·mica e del controllo dello Stato potreb– be aprire facilmente la strada un -di– scorso sull'opportunità di procedere al– la nazionalizzazione di quegli stessi settori. Prima di concludere vogliamo dire poche, volutamente poche, parole sulla

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