Nuova Repubblica - anno V - n. 3 - 20 gennaio 1957

nuova repuh/Jlic11 Comitato direttivo: TRISTANO CO0IGNOLA (direttore resp.), PIERO CALEFFI, FERRUCCIO PARRI, PAOLO V1TTORELU. Segr. di redazione: GIUSEPPE FAVATI. Direz. e redaz.: Firenze, Piazza Ubertà 15, tel. 50-998. Amm.1 Firenze, Piazza lridipendenza 29, tel. 483-207,8. Autoriz. Trib. Firenze del 30 dicembre 1952. Prin.tad in 1taly, St. Tip. de «la Nazione•, Firenze, Via Rlcasoli 8. 146 • ANNO V - N. 5 Un numero l. 40. Estero t. 50. Un numero arretrato L. 50. Abbonamenti t annuo per Italia e Francia L. 1500, sem. l. 800, trim. L. 450.· Estero, L. 2000, 1100, 600, Sostenitore L. 10.000. CIC post. 5/6261, da Nuova Italia», Firenze. Gli abbonamenti de– corrono dall'inizio del mese. Per pubblicità rlvolgersl all'Amml• niSt~azioné. Tariffa I L. 15.000 per Inserzioni di mm. 70 per colonna. ~SCE LA DOMENICA « Nuova Repubblica • è settimanale politico e di cultura. E' anchlt! giornale murale, registrato presso Trib. di Firenze con decreto n. 1027 del 21 luglio 1955. Manoscritti, fotografie, disegni an– che se non pubblkati, non si restituiscono. Diritti riservati per tutti I Paesi. Il periodico viene inviato gratuitamente in saggio a– chiunque ne faccia richiesta. Spediz. in abbonam. postale Gr. Il,; 20 GENNAIO 1957 - L. 40 CONDIZIONI DlU A POLITICA SOCIAL Al Co11vegno di Roma del 20 gennaio, Ferruccio Parri, Tristano Codignola, Paolo· Vittorelli, Giuseppe Taglia– zucchi illustreranno alcune lesi programmatiche sugli aspetti essenziali d'una politica di alternativa socialista FERRUCCIO PARRI: CAPISALDI PROGRAMMATICI Le note che segu_ono vogliono soltanto. rap– presentare le motivazioni preliminari neces: sarie alla comprensione del carattere tipicÒ ed organico del programma sociale ed econo– mico di Unità popolare. Q UESTI dieci anni di governo democristiano hanno riportato l'Italia dalle speranze della Liberazione - e della Costituente alle modeste prospettive di una ordinaria e quotidiana amministrazione sostanzial– hlente conservatrice. Pesa sulla sua opera la mediocrità della classe diri– gente italiana, l'eredità vicina del fascismo, l'invadenza reazionaria della Chiesa, la pressione classista degli interessi conservatori, nazionali ed internazionali: tutti servi e padroni ad un tempo di una necessita e volontà egemonica. Questi invincibili ancoraggi hanno frustrato o de– viato o frenato le spinte rinnovatrici interne ed esterne al blocco di maggioranza. Perciò i progressi coITlpiuti sulla via della libertà e di una democrazia non solo nominale non sono frutto di propria coscienza e capa– cità, ma conquista dei tempi e degli avversari, come i progressi e ! 'asce.sa delle classi lavoratrici sono frutto della loro pressione. Ma le distanze sociali tra i pochi beneficiari di questo regime sociale e la massa dei cittadini, tra le regioni avanzate ed arretrate, sono cresciute, non diminuite. Il passivo più grave di questo esercizio di potere è il virulento prosperar-e del sotto– governo, il basso costume pubblico, la diffusa corru– zione: frutti amari di tare antiche, aggravate non medi– cate dal decennio democristiano. Le esigenze morali, le naturali esigenze sociali d~lla massa cattolica e della base popolare sono state distorte ·a di(esa non dei valori religiosi ma dello sfruttamento clericale. non a riforma ma a consolidamento di strut– ture parassitarie. L'interclassismo copre un cripto-clas– simo conservatore di fondo; e dà luogo a risultati fatali d'inerzia. Dà forza al regime la minaccia comunista, . non l'interna ed autonoma capacità di costruzione. Con queste premesse dieci nuovi anni d'integralismo fanfaniano non possono che raddoppiare i danni di un centrismo incapace, in quanto intimamente passivo, di riforme di fondo; incapace di· eduéazione -libera,• in quanto clericale; chiuso a forze rinnovatrici e 'spintò ad uno sfruttamento totalitario del potere. (liustizia socillle ~ 111·0!!:resso economico In dieci anni 1947..:56 il prodotto annuo netto del lavoro del popolo italiano, a prezzi costanti, è cresciuto circa del 170 per cento, i consumi sono aumentati intorno al 160 e gli investimenti intorno al 180 per cento. Il reddito netto medio capitativo degli italiani è cre– sciuto, nello stesSO periodo, a prezzi costanti, da 160.000 a 255.000 lire circa. Il progresso notevole della economia italiana, e cioè della ·produzione di beni e s~rvizi, è indubbio attestato po 1 sitivo della capacità di lavoro del popolo italiano. Di esso è primo Protagonista !'.incremento della produtti– vità del lavoro e del capitale investito, valutabile nelle industrie manufattiere a 180 per cento per unità operaia impiegata. Ne è stata fattore determinante la congiuntura mondiale improntata a netta espansione, nella quale il nostro sviluppo economico s'inquadra. Possiamo considerare come principale apporto posi– tivo del regime politico. di questo periodo- un governo della mon~ta e del credito c})e dopo la manovra antinfla-· zionista clel 1947 ha conteputo il graduale deprezzamento della lira a circa il 30 per cento. Hanno giovato alla espansione degli investimenti i notevoli contributi for– niti 3.i produttori agricoli ed industriali e le molteplici forme di aiuto, temperate da una ·certa misura di libera– liz.z:azione del _commercio estero. i,•aumento del reddito non è stato accompagnato da una sua miglior ripartizione sociale. Forse l'uno pe; cento della popolazione dispone di un reddito annuo capitativo ·superiore· ad un milione di lire; certamente non meno del 20 per cento non arriva a ·100.000 lire. Il valore mediano della curva di distribuzio– ne dei redditi deve presumibilmente situarsi intorno a 150.000 lire annue. Un cert~_iglioramento comparativo accusano i salari e stipendi riSJ:)etto all'anteguerra: il salario contrattuale medio generale dell'operaio dell'industria si è moltipli– cato 88 volte rispetto al 1938, Quello del bracciante agri– colo di 94 volte, quello dell'impiegato statale di 69 volte, mentre l'indice generale nazionale del costo della vita è a quota 63 e quello del capitolo alimentazione dei. bi– lanci familiari a quota 74. Cioé, in termini di grande media nazionale, il prodotto del lavoro industriale è cre– sciuto del1'80 per cento, la remunerazione reale del 25 per cento circa. Tributi ed altri costi di produzione, ed investimenti sono aumentati anch'e~si: ma la pressione sindacale ha avuto efficacia limitata pèr acquisire alla massa delle remunerazioni il sopra-prodotto, assai mino– re comparativamente di quella che hanno avuto i Sinda– cati americani per migliorare. le condizioni contrattuali di lavoro. . I salari contrattuali non coprono tutta l'area del la– voro dipendente. Oltre ad un'ampia corona di lavoratori ad orario ridotto e di « sospesi » nei se_ttori industriali critici, una più vasta zona di lavoratori a domicilio (di numero sempre crescente), di' occupati saltuari e di semi– occupati lavora a I'emunerazioni quantitativamente e qualitativamente inferiori. Nelle regioni meridionali in particolare la pressione famelica dei braccianti e mano– vali limita l'osservanza dei contratti. Un gradino più in basso stanno i disoccupati, mondo sen'za definiti confini che va dal senza-lavoro cronico al sottoccupato. Erano 700-800.000 i disoccupati negli ultimi an~i del fascismo; si è aggiunta la massa dei reduci, gli inoccupati dei primi anni post-bellici, il crollo delle in– dustrie belliche fasciste. . Gli istrith agli uffici. di collocamento_ er:ano_ 2-2,3 mi– li_oni•nei primi mesi del 1947; sono ancora 2-2,5 milioni nei primi mesi del 1956; circa ·2 milioni nell'ottobre. Sono cifre di significato complesso: un certo migliora– mento nell'occupazione si è verificato nell'ultimo biennio; gli inoccupa_ti non crescono, segno che le nuove leve rie– scono, pur stentatamente, ad esser assorbite. Ma indicano il permanere di un'ampia, e quasi cronica ormai, zona di ri5:tagno e profondo disagio sociale. Ed esse celano un bisogno ed una domanda poten– ziale di lavoro assai più ampia, che tenderà ancor per lungo tempo ad accrescere non a diminuire i disoccupati classificati. Se la popolazione attiva di tutta Italia potes– se raggiungere la percentuale lombarda del 45 per cento, almeno altri due milioni di lavoratori si aggiungerebbero ai due milioni ufficialmente registrati di italiani senza Occupazione. Né il progresso economico nazionale. si è aç:compa– gnato con una migliore ripartizione regionale. La maggior produzione, i maggiori profitti, i maggiori• salari si sono concentrati nelle regioni più _avanzate. Le regioni del centro (Umbria eccettuata) stanno miglio– rando di qualche Poco la loro situazione comparativa. Ma nelle meridionali solo la redistribuzione operata at– traverso la Cassa del Mezzogiorno, ha potuto impedire un aggravamento del distacco da quelle settentrionali. Il miglioramento della situazione, l'aumentata ·attività di alcune zone e centri del Mezzogiorno è bilanciata da( crescente deterioramento di ampie zone agricole. Sicilia, Calabria, Basilicata e Puglie contano almeno due milioni di abitanti con un reddito medio jntorno a 60.000 lire annue. La estensione sempre elevatissima dell'analfabe– tismQ, con percentuali ancora oggi varianti tra il 20 e il 30 per cento, specialmente gravi tra gli adulti, dà la mi– sura dello stato di arretratezza economica e civile. La degradazione fisica e morale nella quale marcisce la po– polazione di vasti quartieri di Napoli, Palermo ed altre città meridionali pone problemi indilazionabili di risa– namento. . La pròlificazione irresponsabile delle zone più misere è stata in questo dopoguerra uno dei fattori più gravi di arretramento ed aggravamento. Dunque: in dieci anni l'economia italiana si è irrobu– stita senza correggere sensibilmente le ingiustizie che ne formano la struttura. La ricchezza è rimasta nelle stesse mani, e i non molti ticchi si sono fatti più ricchi. Alcuni milioni .di salariati e stipendiati hanno potuto difendere entro variabili limiti la loro posizione. Un vasto sotto– proletariato industriale ed agricolo vegeta nelle stesse condizioni di prima e di sempre, che vanno dalla penuria alla miseria. In analoga condizione di sotto-reddito è l~ · piccola conduzione agraria delle zone agrarie povere e particolarmente della montagna appenninica ed alpina. A questa struttura sociale a isole di ingiustizia, corri– sponde una struttura a isole territo1\iali di ingiustizia. Nelle une e nelle altre vive più di un quarto degli italiani. I gruppi sociali dirigenti, 1a Democrazia Cristiana che li serve e se ne serve, i governi che sono espressione di questo ibrido conglomerato, sostanzialmente ancorati a mentalità e programmi di conservazione sociale, non solo si sono astenuti da ogni politica diretta di redistribuzio– ne, ma hanno anche operato assai debolmente e discon– tinuamente per assicurare un livello minimo generale di status sociale. I progressi nell'organizzazione previde:1Ziale, i limi– tati provvedimenti di politica sociale 1·ealizzati in questo periodo sono in larga parte frutto della pressione della massa lavoratrice e di calcoli di convemenza elettorale. L'assistenza ha mantenuto, in quanto è dipeso da questo regime politico, un carattere pa.ternalistico e ca– ritativo, aggravato dall'insistente accaparramento reli– gioso, quando non a tinta clericale. Ed è rimasta assolu– tamente impari rispetto alle. necessità degli strati sociali infimi. Mancando una chiara ed organica impostazione so– ciale, l'evoluzione inarrestabile dei tempi ha trascinat@ a rimorchio il regime, che perciò non ne ha prevenuto, od accolto secondo un piano graduale ma sistematico, le esigenze, ma ne ha limitato gli effetti con tamponamenti empirici e-·provvedimenti non organici, su scala spesso campionaria. . L'aiuto dato alla miseria, in questi ultimi anni di maggiore sviluppo, tra contributi alla previdenza e prov– vedimenti assistenziali non supera certo i 200 miliardi annui forniti dallo Stato e dai Comuni, troppo poco per rappresentare una politica di giustizia sociale, o anche di benintesa carità cristiana. Una nnuva. politica liìOCialeed t'conomica Per molti' anni questi governi hanno pertinacemente rifiutato ogni criterio di programmazione della politica economica, anche come politica produttivistica, conte-

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