Nuova Repubblica - anno II - n. 14 - 20 luglio 1954

L 35 S1· •dlslo,i'e ·1n o.bl> O>Damenlo poetale· fGk-uppo Ii) A pag. 4: Italia, oggi: l.a n 1,1: 1 .~:1~lM/m~ C~SA CLAUDIO ~~ IJl1J1rt1,'rd ............... _, ...... -&.-1--:A,h.a.r,t, h · ~In· (.Ì/atù,...,) • QUINDICINA L_t POLITI C f-.Garma.rn a> ~~ ~y .o~ 1954 ================================== ====::::;:===---- VV~t~n~~-====• Anno II • N. 14 (38) 8 P. · Dobbw.mo accettare la spa1hz1one del Territoiio Libero di Trieste? (pagg. 1 e 2) - BENIAMINO FINOCCHIARO. Dissoluzione dei piedi piatti (pag. 2) .. CARLO CON• ZALEZ RIVERA: Santa Alleanza nel Guatemala (pag. 2) · PIETRO BIANCONI: Triste realtà della Lardcrello (pag. 3) • G. E.: Non è ttuffa, ma .... !pag. 3) • ANNA GARO– FALO: Fa comodo la « sublime miss.ione» (pag. 3) • RASSi.GNE: Italia, 011i: La sini– stra europea (pagg. 4 e 5) - Vita di fabbrico: Industriali, monopoh e ore straordinarie, TREGUA ININOOCINA N el n101nento in cui scrivia1no non sono ancora· state conclu– se le trattative per la tregua in L1docina, n1a le prospettive fa– vorevoli alla pace sono abbastan– za positive. Se non si co11oscono i tern1ini precisi nei quali potrebbe venire stilato un eventuale accor– do fra le parti, si conosce tutta– ,•ia il senso che è nndato assun1en– do tutto il negoziato di Ginevra, lo sviluppo politico che esso ha dctcnninato ~oprattutto in Fran– cia f' nrgli Stuli Uniti, le prospet• tive future che si aprirebbero qua– lora la t,·egua fosse effettivamente conclusa. Vi è un fatto, anzitutto, che ca– rutterizza forse tutto il senso del nuovo corso della Conferenza d.i Ginevra: col nuovo governo fran– cese, senza fare nessuna conces– sione sostanziale al blocco orien- . tuie per quello che riguarda l'Europa e dicendo di no all'Ame- -----:.-;;:..=:,,-.,'l~ .. --~ .._...,t_.:,si1:à l!C )t"i:: fotta sentire, è cnmb'iata in po– chi giorni tutta l'atmosfera in cui da a11ni andava svolgendosi la politica europea. Il governo Mendès-France si è presentato al Parlamento France– se con un obiettivo preciso: In conclusione della pace in Indocina entro un mese. Ma si è soprattut– to presentato co1ne un governo di tipo roosevehiano, un go"erno da Ne,o Deal, che ha il coraggio di denunciare le cause reali della cri– si profonda che travagliava lu Fran– cia e l'Europa e di proporre le mi– sure anche in1popolari con cui porre fu1e alle cause più immedia– te di crisi. Abbian10 scritto su ([uesto gior– nale che Mendès-France si presen– tava con una prospettiva di liqui– dazione di tutte le passi\'itiì pas– sate, specie di quelle nccun1ulate in Francia dalla cattiva gestione de- 1nocristiann delJa politica estera e coloniale dalla liberazione in poi, da quando cioè il Ministero degli Esteri e i dicasleri dei territori d'oltrcn1nre sono slati n1onopolio del M.R.P. Con la tregua indocinese, la pri- - ma fase di {fllCSta liquidazione Sia per concludersi, dando alla Fran– cia e all'Europa la dimostrazione pratica che è possibile liquidare le pnssivitù passate per ricoslrui• t'e un avvenire n1igliore. Fino a qualche n1ese fa (non si din1en- 1ichi che Mendès-France, con que– ste ideè, non era riuscito a otte– nere l'in,•estitura costituzionale n formare un nuovo governo, un an• no fa), nessuno in Francia avreb• be osato preconizzare la pace in Indocina. C'è voluto Oien Bien Phu. Ma anche così i democri– stiani francesi e 1nohi altri grup– pi conservatori avrebbero prefe– rito conlinuare ]a guerra, anche a rischio di essere gettati in 1nare, ma contando su un'internazionaliz• zazione del conflitto, pur di non riconoscere gli errori passati. La conclusione della tregua in Indocina dimostra che è possibile trattare con l'Orien le senza dover capitolare, anche nelle pessime condizioni n1ilitari in cui si tro– vava la Francia in Indocina. Sen .. za dubbio, il blocco orientale do– vrà proprio in Indocina dare la b 1otec G pl'ova pratica cl1e un comprom.esso fra i due blocchi non è 1ma capi• tolnzione di quello occidentale da– vanti a quello Of'ientale, che la for– n1azione di governi di coalizione in Asia nou apr•e più la ,•ia a col– pi cli Stato del tipo di quelli com– piuli nell'Europa orientale, e so• prnttu Ilo in Cecoslovacchia, dopo lu fine della seconda guerra inon– diate; dovrà inson1mn dimostrare che quesli anni hanno insegnato qualcosa non solo ai ftancesi o agli europei occidentali, ma anche alla Russia e agli. europei orien– tali. Certo se gli U.S.A. non eruno disposti a decidere lì per li l'in– tervento in L1dodna, po<-hi erano t;li an1ericani che, come fo mag– gioranza del Parlarnento francese il giorno in coi hn iavestito l\lcn– dès-Francc, avrebbero o~ato od ose– rebbero anche oggi, sostt:ncre lu lesi deJlu tregua con i con1u11isti indocinesi. Basto. vedere il succes– so della petizione popolare fatta circolare dal senatore K.nowlancl, leader della maggioranza repub– blican.a, cioè governativa, al Senato americano, per i111pcdire J'an1mis– sione de]]a Cina co1nunis1a al- 1'O.N.U., per rendersi conto che gli americani, anche quando non !iiono ttisposti a partecipare ad una guerra già ht conto con 1 \AJlhut_.j. sci, non hanno il coraggio di am– n1ettere l'alternativa logica che ne consegue: la distensione. Essi pre– feriscono invece anuuellere che anche la sconfilla subita davanti alle truppe comuniste è una bat– lagl.in perduta, eh.e, un giorno o l'altro, quando In guerra sarù di– ventata generale, sarà coinpensata dalla vittoria nella battaglia fi. nalc. Questo è il senso del ritiro ame– ricano da Ginevra. A questo pun– to ci voleva il coraggio di Mendès- . France - e degli inglesi che lo hanno appoggiato - per dire cli no agli americani, per far capire loro che, anche senza rovesciare le alleanze, si poteva benissi1110 concludere la pace. J;: stuta la prima volta che la Francia ha detto di no agli Stati Uniti in questo dopoguerra; un po' come aveva fatto la Gran Breta– gna, quando Attlee, allora Primo l\linistro, si recò in volo da Tru– man per scongiurarlo di uon hon1- bardare le basi ci.nesi da cui par– tivano gli aerei che appoggiuvuno l'azione delle truppe nord-coreane, per evitare, cioè, anche il rischio di una guerra generale, sia pure limitata alla sola Asia. Il ritorno degli americani a Gi– nevra, sia pure in forma ridotta, ha dimostrato che in Wl mondo democratico come quello occiden– tale non hiso1na lasciarsi vincere dalla psicosi totalilaria, dal com– plesso d'inferiorità dei piccoli ver– so i grandi e che, se gli europei hanno bisogno degli americani per difendere la democrazia in Europa, gli americani hanno bisogno degli europei per difendere la democra– zia nel mondo e, in definitiva, ne .. gli stessi Stati Uniti, E se dall'esempio di fermezza dato in poli1ica estera dovesse con .. seguire anche una politica inter– na ed econon1ica di rinnovun1ento in Francia, forse si potrebbe a f- front.are la soluzione europea di n1olti prohle1ni critici, con n1aggio– re speranza di uscire dal periodo di inevitahi.le inferiorità economica e politica nel quale l'Europa è ri– masta inginocchiata fin troppo a lungo, P.\01,0 VITTORELLI B1 o d.i c. s. t. (pag. 5) • Gruppi al lavoro {pag. 01 - .... a ,,_,•. Autonomie regio• nali, di CuNPRANOOCom'u,· Il ricatto al riarmo tedesco, di Cu100 f'ue1N1 (pagg. 6 e 7) • Pagine di cultura contemporanea: Pianificazione economica in regime democratico (V e VIT, di G1xo L UZZATlO (pag. 7) • Plausi e botta, di OoNUNO (pag. 8) • Libri e problemì: Il movimento comunista nel ventesimo secolo, di Massimo Salvadori (LecroR) (pag. 8) • li muro, di Pie (pag. 8). I OPINIONIE CONTRASTI I Dobbiamo ilttellilre liispulizion delTerritorio Libero diTrieste 1 Que110 a.-tico/o ,ùp, chi<1 fedelmen– te due 1""e1i d ba1111tP da: uppo trie1ti110 di U.P. La 111a,gio1 ·a si è /11·0- 111111ria1a in fm ore d. -'i ! seconda Je– Ji, ru1.1me11te pitì '"· !i.rlic.1. Co11111JJ• que - e lo .,bbimno .. ì dimo1tr.110 a 111//icien.::a - lr ro/ 11c> dei 11011>0 gion1tdi> 10110 sem/nt- .,, rie, pt1r ogni amico riw voglia w urei 111101·e p,·ob.u11i romid ... ,razio,, N. R. F ~ , agevolé rilevr re il peggio– ramento pro;:ressivo della ~ posizione ita!· na nella con– Ll·ovcr.-,:a 11! (u.'4.0 ,._J v:obleJD!.l. triestino. Iniziatosi qualche anno fa esso si è negli ultimi tempi accentuato in modo preoccupante. n stato espresso il parere che la coincidenza con una contempora– nea involuzione destrosa dello schieramento politico italiano non sia stata del tutto fortuita e so– prattutto che, nel determinarsi del– !' attuale nostra debole posizione, una certa parte spetti alla adozione in tempi recenti di atteggiamenti piuttosto sconsiderati ispirati ad un vuoto nazionalismo oltranzista. Tutti siamo d'accordo sulla op– portunità di un miglioramento nei rapporti fra italiani e slavi, mal– grado il persistere di notevoli di– vergenze. Tale meta va raggiunta sia sul piano nazionale che su quello locale, prendendo le mosse da un maggiore rispetto da entran1- be le parti dei diritti delle mino– ranze etniche. Ma quale dovrebbe essere, con esattezza, la via da seguire? Alcuni, anche fra i democratici, sono decisamente contrari ad ogni progetto di spartizione del Terri– torio libero. le perdite territoriali dell'Italia - si osserva - hanno raggiunto un limite massimo, oltre il quale qualsi~si ulteriore rinuncia sareb– be non solo un tradimento di quelle popolazioni che fino a ieri vennero illuse con assicurazioni di ferma difesa delle loro aspirazioni nazionali, e che una spartizione invece abbanclonerebbe ad una sor-– te ben triste, ma anche, e ancor più, sarebbe un'offesa gravissima recata al senso di giustizia e alb fiducia nelle forme di democrazia occidentale di tutto il nostro po– polo. D'altra parte, sarebbe ingenuo credere che il sacrificio della Zona B possa consentire l'auspicabile inizio di una nuova era di rapporti con la Jugoslavia e liberare final– mente la vita politica italiana dalla pesante questione della frontiera orientale: ché anzi la infelice so– luzione formale di tale questione costituirebbe perenne pretesto a interessate speculazioni e suscite– rebbe un'agitazione ed un effetti– vo disagio, tali da ostacolare, an– cora più gravemente che nel pas– sato, lo stabilirsi di una atmosfera di cordialità e di fiducia reciproca tra gli stati vicini. Né, infine, è da pensare ( rife– riamo sempre gli argomenti di ?!'lici d"P10cr~•ici 0stili •Jh sp~r– tizione) che la remissività dell'Ita– lia in una materia di essenziale importanza, sarebbe valutata nei rapporti internazionali come titolo di prestigio e di stima. Estrema difesa contro uno slit– tamento nel temuto senso di un baratto territoriale resterebbe an– cora il ricorso, sempre legittimo da parte dell'Italia, ali' integrale applicazione del trattato di pace con relativa costituzione del Ter– ritorio libero. Un plebiscito orga– nizzato nell'ambito dell'intera zona dovrebbe poi esprimere il demo– cratico volere degli abitanti circa la definitiva sorte della loro terra. Se pure tali richieste appari– scano ai più come scarsamente suscettibili di èssere realizzate, ciò tuttavia non toglierebbe che sia un dovere morale di prima impor– tanza l'assumere una posizione con– forme ai propri principi e ad una valutazione concreta della situazio– ne, scindendo la responsabilità propria da quella di governanti che, ove anche oggi si trovino da– vanti ad alternative non molto seducenti, non per questo sono da assolvere dalla colpa di avere contribuito a condurre la situa– zione stessa a tal punto. Ma, dinanzi al problema trie– stino, si affaccia anche un'altra tesi, del tutto diversa. Nell'attuale momento politico, due sole sono le reali alternative che ci si offrono : spartizione del territorio più o meno secondo la linea di confine fra Zona A e B, oppure mantenimento dello slat11s q110 a tempo indeterminato. Che questi e non altri siano i due corni del dilemma è un dato, si può dire, assiomatico. Anni di attività politico-diplo– matica intensa, con trattative più o meno coperte e con pressioni di- rette più o meno tempestive, ci hanno condotti a questo bivio. Si potrà discutere se la via segui– ta fin qui sia stata la migliore e se meglio si sarebbe potuto ope– rare; resta il fatto d1e la realtà politica ha questo spiacevole aspet– to e che a noi non resta che pren– derne atto. In questo momento, auspicare la pura e semplice applicazione del trattato di pace e invocare il plebiscito, altro non significhereb– be che prendere posizione contro le trattative italo-jugoslave in cor– so. Contro le trattative, in favore dunque di un manteni'Tienro delle· attuali amministrazioni provvisorie. Ed allora è lecito domandarsi : è possibile mantenere ancora per m9lto tempo il presente stato di incertezza senza che si producano danni irreparabili? Vi sono perlo– meno concrete speranze in un fu. turo miglioramento della situazio– ne a vantaggio della posizione italiana, in modo che una solu– zione differita nel tempo abbia la possi~ilità di essere migliore di una soluzione raggiunta oggi? I sostenitori di questo secondo punto dr vista rispondono nega– tivamente ad entrambi tali inter– rogativi. n proprio l'urgenza, intimamen– te sentita, di chiudere questo capi– tolo, sgomberando il campo poli– tico internazionale, ma più ancora quello interno italiano, dal pro– blema triestino, che spinge verso una soluzione che, se non può certo dirsi ideale, sembra perlo– meno definitiva e rapidamente at– tuabile. Il mondo vive sotto l'incubo della bomba all'idrogeno e ogni focolaio di attrito va eliminato anche a costo di sacrifici che sono sempre piccoli se considerati in rapporto al destino dell'umanità. Venendo all'Italia, la questione della sua frontiera orientale ha in questo dopoguerra, come del resto in quell'altro (salve notevoli dif– ferenze), troppo a lungo e troppo _ dahnosamente polarizzato l' atten– zione dei politici, che invariabil– mente •hanno finito col considerare ogni problema di indirizzo gene– rale quasi solo in funzione dei suoi riflessi sul problema triestino. Resta a dire che il problema di Trieste sul tappeto, per un curioso giuoco di circostanze, significa (1egtte a pag. 2)

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