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Enzo Siciliano

L'intellettuale nella storia

La Stampa, 19 gennaio 1972


Roma, 18 gennaio Lo scrittore Nicola Chiaromonte è morto colpito da infarto a 67 anni nella sede Rai di viale Mazzini, dove era andato per la sua collaborazione a un programma radiofonico. Si è sentito male mentre era in ascensore: soccorso dal personale della Rai, è stato portato in un ambulatorio e visitato da un medico, il quale però ha potuto soltanto constatarne il decesso. (Ansa)

Nicola Chiaromonte era uno scrittore di specie rara in Italia: era un saggista. Più che giudicare la letteratura secondo il canone del bello e del brutto, Chiaromonte la interpretava, chiedendole di rispondere sul presente e sul passato dell'uomo, vedendo in essa un modo, forse il più alto, attraverso cui l'uomo testimonia il proprio essere in vita. Scriveva dunque di letteratura, mostrando quanto, in trasparenza, essa trasudi dei contenuti della storia. Era la storia il tema che stava a cuore a Chiaromonte: come espressione di un conflitto perenne tra l’individuo e una forza oscura, prepotente, che ha nome «potere», di fronte alla quale l'individuo non può nulla. Questa forza lo costrinse a scelte decisive, per lui irreparabili e da cui dipese immediatamente la sua esistenza.
I saggi su Tolstoj, su Stendhal, su Malraux, e che si trovano raccolti in un volume pubblicato lo scorso anno, dal titolo Credere e non credere, ricadono tutti nella luce dell'esistenzialismo; Chiaromonte vi portò di suo un bisogno di razionalità: l'urgenza di una superiore chiarezza che poteva giungergli dalla tradizione illuministica meridionale.
Era un italiano del Sud, chiuso e talvolta persino scontroso come certi lucani possono esserlo, ma appassionato e devoto al proprio pensiero fino a soffrirne, fino a un rabbioso silenzio di fronte alle altrui velleità. Si dice poco di Nicola Chiaromonte se non si dice che egli fu una delle figure più illustri tra i fuoriusciti europei negli anni del fascismo.
Alla Dècade di Pontigny del 1934, dedicata ai problemi dell'intolleranza politica -a Pontigny, in Borgogna, si riunirono per alcuni anni, tra le due guerre, intellettuali di vari Paesi, per discutere i temi posti dal momento storico-, Chiaromonte, che era stato invitato laggiù con altri italiani, tra cui Moravia, decise di non tornare in Italia. L'atmosfera fascista era per lui più che repulsiva. Né lo soddisfaceva più partecipare, come aveva fatto fino a quel momento, alla fronda intellettuale che si raccoglieva intorno alla rivista fiorentina Solaria. Chiaromonle sentiva il bisogno di agire, di lottare contro il fascismo, fisicamente, e pensava di potersi meglio impegnare nella lotta se oltre i confini. D'altra parte, è impossibile dimenticare che la Francia di quegli anni apriva alla lotta antifascista le più grandi speranze.
Riparò a Parigi e lì si legò di amicizia con Andrea Caffi che, seppure più avanti negli anni di lui, ebbe con Chiaromonte un rapporto intellettuale duraturo. A Parigi ancora, proprio per quel suo desiderio di azione, al momento della guerra di Spagna, Chiaromonte si arruolò nella squadriglia di Andre Malraux e partì per combattere i franchisti. Dovette tornare ancora a Parigi, per restarvi sino all'arrivo dei nazisti, nel '40: a quel punto fuggì verso il Sud, verso la zona non occupata. Durante la fuga Chiaromonte perdette il manoscritto d'un lavoro in cui aveva speso tutte le risorse intellettuali di quegli anni, uno studio su Michelangelo, mai più ripreso, e abbandonato per sempre alla tragedia di quei momenti. Visse Chiaromonte quelle giornate di fuga e di internamento con Arthur Koestler; e di quelle giornate Scum of the hearth di Koestler è la testimonianza tragica. Infuriava la guerra, crollavano diversi miti: Chiaromonte non credeva nella palingenesi storica al modo di un marxista. Riuscì a fuggire negli Stati Uniti, e laggiù si legò saldamente agli ambienti degli intellettuali più aperti ai problemi della libertà intellettuale e politica: coloro che si raccoglievano attorno a riviste come New Republic e come Partisan Review. Data da allora la sua amicizia con Mary McCarthy. Restò in America fino al 1953, e, una volta tornato in Italia, con Ignazio Silone fondò Tempo presente, un mensile attraverso il quale tutta la giovane cultura italiana è passata: un vaglio severo, puntuale, cui Chiaromonte si dedicò con lo spirito di un vero e proprio educatore di ingegni.
Sua passione non secondaria fu il teatro. Dopo Sandro De Feo è stato, flno a ieri, il critico teatrale dell'Espresso. Nel teatro Nicola Chiaromonte vedeva un momento quasi sacrale dell'espressività umana: il momento di una confessione, di dramma e dolore, che è contemporaneamente poesia e moralità.
Oggi che è scomparso non possiamo non ricordare di lui la tensione intellettuale che l'animò ogni momento, e sottolinearne l'esemplarità.
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