Nord e Sud - anno XX - n. 167 - novembre 1973

Maria Laura Gasparini Poiché, infatti, l'insieme delle reazioni nucleari da cui viene ricavata l'energia elettrica è una sorgente di radioattività di elevata intensità, l'ncidente potrebbe sprigionare nell'atmosfera sostanze radioattive di notevole pericolosità. Ma si tratta di rischi che fino a questo momento, dopo tanti anni di sfruttan1ento di questo processo di fissione nucleare, si sono rivelati molto improbabili. Ora, noi non staremo qui ad indicare la validità o meno di queste affermazioni, lasciando a persone più qualificate e all'ENEL stesso le valutazioni concernenti la convenienza o meno di sostituire gli impianti nucleari a quelli termici tradizionali per la produzione di energia elettrica. In questa sede quindi ci soffermeremo esclusivamente ad esaminare quale è attualn1ente la situazione « impianti nucleari » in Italia, facendone brevemente la storia e paragonandola con quella degli altri maggiori Paesi, europei e non. In Italia si cominciò per la prima volta a parlare della possibilità di attuazione di una politica nucleare parecchi anni fa, esattamente nel 1956 quando, in seguito ad un attacco di Francia, Inghilterra ed Israele all'Egitto, il canale di Suez fu chiuso a qualsiasi tipo di traffico e di attività. È noto infatti che erano e sono ancora i paesi del Medio Oriente i maggiori fornitori di prodotti petroliferi (il Medio Oriente produce attualmente più del 30% di tutto il petrolio mondiale); e considerando che il petrolio era ed è uno dei combustibili maggiormente impiegati nella produzione di energia elettrica, si c~ minciò fortemente a temere che con la chiusura di Suez tale prodotto non potesse essere più facilmente trasportato verso i paesi del Mediterraneo. Timore non certo infondato, che indusse l'Italia ed altri paesi europei, in particolare dell'Europa occidentale, a studiare l'opportunità di sostituire pr~ gressivamente la produzione termica di energia elettrica e ad orientarsi quindi verso la costruzione di centrali elettronucleari, escluse da qualsiasi dipendenza dalle fonti energetiche medio-orientali. Tra i diversi paesi che si diedero da fare per la realizzazione di un programma nucleare, l'Italia fu senza dubbio tra i più attivi: basti pensare che il nostro fu uno dei pochissimi paesi che, agli inizi degli anni '60 poteva contare su ben tre centrali nucleari: a Trino Vercellese (centrale della Edison passata poi all'ENEL in seguito alla nazionalizzazione dell'energia elettrica avvenuta nel 1962), nei pressi di Latina, e sul Garigliano ai confini tra Lazio e Campania. Era questo quasi un prin1ato, almeno in Europa, anche se c'è da notare che tutte e tre queste centrali, che hanno una capacità complessiva di 5 miliardi di Kilowatt, sono state realizzate su brevetti stranieri: l'americano Westingouse e l'inglese Generai Elec~ tric. Poi, purtroppo, per una serie di motivi diversi, non ultimo dei quali la risoluzione della crisi di Suez con la conseguente possibilità di ulteriori approvvigionamenti di petrolio, si ebbe una stasi completa nella realizzazione del programma nucleare e un rallentamento quindi della « corsa all'atomo». La costruzione delle centrali elettronucleari fu improvvisamente interrotta, ed 11 nostro Paese che soltanto pochi anni prima poteva considerarsi all'avanguardia in questo campo, si trova oggi ad occupare uno degli ultiini posti nella scala dei valori non solo mondiali ma anche europei. Quasi tutti gli altri stati hanno fatto invece passi da gigante: si pensi per esempio alla Germania 42 BibliotecaGino Bianco

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