Nord e Sud - anno XX - n. 167 - novembre 1973

, Un'equazione sbagliata di Kiihnl, e che è un altro dei luoghi comuni della letteratura sul fascismo: cioè che alla base della formazione e della presa del potere, in Italia e in Germania, del movimento fascista, vi sia la crisi economica e sociale seguita alla prima guerra mondiale; argomento questo, secondo Ktihnl, che « non bisogna sottovalutare ». A parte il fatto che la storia recente e recentissima ha dimostrato che affinché il fascismo vada al potere non è affatto necessario che un paese attraversi una profonda crisi come quelle postbelliche, secondo noi la spiegazione di un fenomeno storico attraverso il concetto di « crisi » è spiegazione paradeterministica e quindi reazionaria (non dimentichiamo che il concetto di « crisi » fa parte del bagaglio culturale di pensatori come Splenger, o come Ortega y Gasset, o come Huizinga, che lo introdussero nella cultura europea nel ventennio fra le due guerre mondiali). Comunque sia, alla tesi di Ktihnl, facilmente Collotti ha potuto obiettare « che la crisi succeduta alla prima guerra mondiale non investì soltanto l'Italia e la Germania, ma percorse il fronte delle potenze vincitrici al pari dei paesi vinti »; per cui « resta sempre da chiarire perché proprio Italia e Germania furono maggiormente vulnerabili dalla crisi». Ne viene come naturale conseguenza - è sempre Collotti a parlare - che la sola crisi non può essere « l'elemento sufficiente dal. quale scaturisce il fascismo, anche se è il coefficiente necessario per la sua affermazione. Il carattere esplosivo della crisi - conclude Collotti riprendendo il tema di Kiihnl - va collegato alla mancanza di una tradizione liberale e democratica, mancanza che spiega la predisposizione della borghesia tedesca per le ideologie autoritarie e fasciste, a differenza della borghesia inglese e francese e a similitudine di quella italiana». A questo punto l'equazione liberalismo uguale fascismo (potenziale, almeno) comincia a mostrare le prime inesattezze: nella tradizione politica liberale - pensiamo a T. H. Green, a Tocqueville, a Stua.rt-Mill, a Hobhousè - si trova certo la difesa della libertà economica e della proprietà privata; ma dove si legge che essa deve essere difesa fino al punto di sopprimere le libertà civili?. Prendiamo, ad esempio, uno fra i n1eno duttili, forse perché fra i più antichi, teorici del liberalismo, cioè quel Locke per il quale, secondo Harold J. Laski, « lo Stato è una società di proprietari ». Ebbene, nei ·Due trattati sul governo, Locke così scriveva: « Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nesun altro che lui. Il lavoro del suo corpo e l'opera 17 BibliotecaGino Bianco -

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