I Un'equazione sbagliata cerca di fare credere; e le sue possibilità di recepire le istanze emergenti siano - quando ci si trova di fronte a uno Stato autenticamente liberale, il cui presupposto di fondo non è la proprietà privata, bensì la libertà, e che quindi non è disponibile a difendere la prima a danno della seconda - forse maggiori di quanto comunemente si creda. Si prenda, ad esempio, quanto dice uno dei più noti teorici della sinistra inglese, Harold J. Laski, che non è certo un simpatizzante del liberalismo, del quale ha fatto, fin dal 1936, un'analisi talora spietata: ebbene, alla fine del suo discorso, Laski giunge a una radicale distinzione fra capitalismo e liberalismo, affermando che, di fronte alle istanze sociali seguite all'industrializzazione, il capitalismo « si trovò sempre di più posto di fronte al dilemma di seguire un'esperienza liberale che avrebbe contribuito alla sua stessa distruzione, oppure, d'altra parte, di distruggere il liberalismo e di continuare a navigare su mari sconosciuti», cioè sui mari del fascismo che, sempre secondo Laski, sorge come « tecnica istituzionale del capitalismo nella sua fase di contrazione e distrugge il liberalismo ». Questa distinzione ci sembra molto importante: perché dimostra soprattutto che laddove il liberalismo politico ha preso il controllo del suo prodotto economico (cioè il capitalismo), le libertà civili non vengono mai messe in discussione e nel conflitto fra capitalismo e istituzioni liberali sono queste ad avere il sopravvento (si pensi, per esempio alla politica di nazionalizzazioni della recente storia d'Inghilterra); mentre invece soltanto laddove le istituzioni liberali perdono il controllo della struttura economica capitalistica, questa prende il sopravvento, distruggendole e dando vita a un regime, fascista o parafascista, che nulla completamente ha a vedere con un sistema liberale autentico. Per cui si potrebbe arrivare a una conclusione di tutt'altro genere: cioè che il fascismo nasca soltanto in quei paesi dove le istituzioni liberali non si sono completamente realizzate, dove la mancanza di una tradizione culturale e politica democratica ha impedito che il liberalismo, oltre e più che istituzione, diventasse una forma mentis, un habitus definitivo, essendosi anch'esso sclerotizzato sulle posizioni e conquiste iniziali (suffraggio ristretto, parlamenti poco rappresentativi, indifferenza dello Stato in materia economica, ecc.), senza recepire le nuove istanze emergenti; dove invece il liberalismo e le sue istituzioni politiche hanno portato alle conseguenze più avanzate le posizioni di partenza, colpendo, ove necessario, attraverso le indispensabili nazionalizzazioni o con una politica economica antimo15 BibliotecaGino Bianco
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