, Un'equazione sbagliata apertura, anzi a premessa della sua ricerca, dichiara che pure se l'esperienza liberale italiana e quella fascista vanno analizzate sotto il segno della « continuità», non si possono ignorare « le rotture e i mutamenti » che fra di esse vi furono, e che sono « tutt'altro che privi di importanza ». Forse più radicale la tesi di Quazza, ritenendo lo storico torinese che pur se la « grande » borghesia non ha mai fatto, né fa, del fascismo il proprio regime ideale, tuttavia « ritiene dura ma ineludibile necessità, nel momento dello scontro più diretto, concentrare il 'comando politico', al fine di trarre dalle istituzioni il massimo potere coercitivo per respingere l'attacco rivoluzionario o, in ogni caso, per garantirsi a posteriori della grande paura di perdere tutto» (dove l'errore, a nostro avviso, sta soprattutto nel credere che soltanto la « grande »borghesia desideri, in certe circostanze, il « concentramento » del potere politico: errore tragico, come dimostrano avvenimenti recenti, che porta a sopravvalutare le capacità di resistenza « popolare » al fascismo e la consistenza quantitativa degli strati sociali che a un certo punto lo fanno proprio). Ancora, per restare nello stesso argomento, Reinhard Kiihnl rileva « che il fascismo non si deve considerare come un semplice sgherro del capitale, ma [ ...] un movimento di massa sorto spontaneamente [che] costituisce quindi un fattore politico indipendente. Il rapporto tra la classe dominante e il fascismo - prosegue lo storico tedesco - nel periodo anteriore alla' presa del potere' deve quindi essere definito come un'alleanza tra due soci indipendenti, e non come un rapporto unilaterale di dipendenza, in cui uno dei due fattori - la classe dominante - produce l'altro a suo piacimento e lo adopera come uno strumento per la realizzazione dei propri scopi ». Tutto ciò - pur mettendo variamente in rilievo le differenze - si fonda sempre sul presupposto iniziale, quello della « rivelazione», della « continuità» fra i due modi di governo: a questo punto, quindi, ci si rende vèramente conto che, nonostante tutto, la perdita del « senso del molteplice », paventata da Quazza, rischia di presentarsi veramente come tale. Perché lungo questa via. si finisce con l'instaurare un rapporto pressoché meccanico e universale, secondo cui ogni qualvolta un regime « liberale » senta minacciati alcuni dei presupposti di fondo su cui si regge - in particolare la struttura della proprietà -, scatena la reazione fascista (o si serve secondo Kiihnl ·- che qui riprende la tesi di Tasca sulle origini spontanee del fascismo - di quest'ultimo, nato per 13 BibliotecaGino Bianco
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