Nord e Sud - anno XX - n. 167 - novembre 1973

Giuseppe Talamo Gli avversari, però, qui non sono i nobili ma i ·borghesi che avevano trasformato il paese a loro vantaggio dalle riforme illuministiche alla legge eversiva della feudalità del 2 agosto 1806. Questo legame tra le riforme del '700 e la dominazione francese è sottolineato con energia dal Mozzillo che giudica con severità il riformismo settecentesco e lo stesso « decennio». « Prevalse (egli ha scritto) il vagheggiamento di astratti ideali, di schemi logici e di una misura dell'uomo nata più dalla speculazione filosofica che dall'incontro con una realtà che non bastava la conoscenza delle sue radici a dominare e a plasmare. Di qui prima l'incomunicabilità, poi il sospetto e lo sprezzo reciproco; infine la guerra aperta, le esecuzioni e le stragi. La condanna pronunciata dai 'filosofi' e che coinvolge abiti etici, valori e pseudo-valori, certezze e credenze delle campagne, verrà eseguita dai soldati di re Giuseppe » (p. 66). Affiora qui un punto sul quale vorremmo esprimere il nostro parziale dissenso. Pur riconoscendo, infatti, alla pubblicistica riformatrice « il grande merito di avere per prima aperto il dibattito su di una società e un'economia agonizzante e malata», Mozzillo sottolinea con forza « i cedimenti e la fragilità di una conoscenza schematica ed astratta » e « la chiusura, l'impossibilità di capire, l'esclusione e il disprezzo» per i. contadini, cioè i limiti di classe dei riformatori. Ora, quei 'limiti certamente ci furono e chiaramente avvertibili, ma insistendo su tale caratteristica ci sembra si rischi di perdere di vista, o almeno di sottovalutare l'indubbio, profondo significato innovatore che i riformatori ebbero. E così quando noi diciamo e ripetiamo - giustamente - che la borghesia terriera si sostituì alla nobiltà feudale e che, nei confronti dei contadini, i nuovi padroni furono anche più esosi dei precedenti, dobbiamo aggiungere che il mutamento rappresentò, comunque, un passo avanti per la società meridionale perché, tra l'altro, creò le condizioni necessarie per le future lotte delle stesse classi contadine. Questo per evitare il pericolo (ma non è certamente il caso del pregevole lavoro del Mozzillo) che si abbandoni una visione storicistica - quale che poi sia la sua più precisa connotazione - per una discutibile geremiade sulle condizioni dei ceti subalterni. Abbiamo voluto· con franchezza esprimere questo parziale dissenso - che ci ha dato poi lo spunto per una osservazione di carattere generale - perché riteniamo che il modo migliore per accogliere un'opera come questa, costata al suo autore così lunga fatica, sia quella di discuterla, dimostrandone così l'operante vitalità. GIUSEPPE TALAMO 118 E3ibliotecaGino Bianco

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