Recensioni time del furore de' nemici», ci informa della loro condizione sociale e dà un'idea abbastanza precisa dell'ampiezza dell'opposizione calabrese ai Francesi. Alla larga conoscenza delle fonti, Mozzillo unisce una conoscenza perimenti vasta della passata e recente storiografia, da quella coeva di Pietro Colletta a quella della generazione successiva (di Luigi Maria Greco, ad esen1pio, autore, negli anni dell'unificazione, degli Annali di Citeriore Calabria, pubblicati postumi nel 1872) alla storiografia del Novecento da Benedetto Croce a Nino Cortese, da Angela Valente a Pasquale Villani, da Umberto Caldòra a Gaetano Cingari. Dopo questo imponente lavoro di scavo archivistico e bibliografico - 3 volumi per complessive 1350 pagine, con una ricca e felice scelta di materiale iconografico che non ha soltanto una funzione decorativa ma integra efficacemente il testo - a quali conclusioni è giunto Atanasio Mozzillo? Quale giudizio ha dato della « Calabria in guerra » tra l'arrivo di Giuseppe Bonaparte nel regno (febbraio 1806) e il primo triennio murattiano (1808-1811)? La risposta è fornita dalla vasta e pensata introduzione, di oltre duecento pagine, nella quale c'è, insieme, la chiave per intendere il criterio con cui è stato raccolto il materiale e l'interpretazione di alcuni anni tra i meno noti e· più significativi dell'Ottocento calabrese. Certo l'arrivo delle truppe francesi interruppe il « funebre letargo » nel quale si trovava l'estremo lembo della penisola, ma i rapporti fra le truppe occupanti e i calabresi furono subito improntati ad una reciproca ostilità: la libertà di costumi, la formazione giacobina, anticlericale e razionalista dei francesi contrastava nettamente con un popolo per il quale « credenze e convinzioni, sia pure lontane da un'intima e vissuta religiosità, costituivano una rete ancora intatta di certezze». La Calabria, poi, apparve agli occupanti ben diversa da come era stata loro descritta o da come l'avevano immaginata: era fredda, malarica, povera di tutto. Lo scontro era perciò inevitabile; e non solo per la contrapposizione tra « un occupatore tutt'altro che generoso, avido e anzi incurante di accrescere con le sue pretese una condizione di miseria al limite della sopravvivenza» e un certo mondo arcaico e pur genuino e vitale, ma soprattutto perché la stragrande maggioranza dei calabresi vide nei francesi « i naturali alleati dei galantuomini», cioè di quella borghesia terriera vera erede del baronaggio e unica beneficiaria della sua abolizione. L'agitazione contadina era viva, peraltro, anche dove regnava ancora Ferdinando di Borbone, nell'estrema punta della Calabria e in Sicilia, perché, come ha scritto Mozzillo, « quale che sia la bandiera sotto cui si rifugia il 'galantuomo' resta sempre tale, sempre l'autentico nemico, il · naturale bersaglio dell'odio». Non basta, quindi, il n1otivo legittimistico a spiegare la vasta « insorgenza» né un preteso spirito « nazionale» e antifrancese, come ha creduto certa storiografia risorgimentale; al centro dell'insurrezione bisognerà porre la lotta violenta, senza legge e senza mezzi termini, tra possidenti e masse diseredate. in una società nella quale le spaccature profonde, antiche e recenti~ avevano distrutto qualsiasi residuo legame tra le varie classi sociali: una jacquerie, insomma, assai simile alle sollevazioni contadine che hanno periodicamente insanguinato la Francia prerivoluzionaria. 117 BibliotecaGino Bianco
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