Nord e Sud - anno XX - n. 167 - novembre 1973

Luigi Conzpagna « maggioranza silenziosa», di cui il giornalista debba tener conto innanzitutto e soprattutto. Il rischio è quello di un conformismo di tipo diverso, ma egualmente illiberale, nel senso che impedirebbe ai lettori di identificare nei giornalisti coloro dai quali, secondo l'efficace immagine di Charles Mc Ilwain, la minoranza del « popolo ubriaco» può sentirsi per così dire garantita dalla maggioranza del « popolo sobrio ». Lo stesso Montanelli, in un eccellente articolo su « La Stampa )> del 4 novembre scorso, invitava a diffidare dello stato d'animo della maggioranza dei lettori americani, pronta a celebrare come eroi del buon costume, della patria e della morale Woodward e Bernstein, i due giornalisti del « Washington Post », che avevano ricostruito il clamoroso scandalo del Watergate. A Woodward e a Bernstein, suggeriva Montanelli, dovevano riconoscersi meriti di grande mestiere e di ottimo fiuto; nondimeno la coscienza di un giornalismo animato da risorse di fermezza ideale e di intelligenza politica restava ferita dal fatto che « la gioia di mettere Nixon nei guai faceva premio sul dolore che l'America ci si trovasse », e quindi dal fatto di aver soggia- · ciuto acriticamente agli umori, sempre più mutevoli, di una maggioranza, sempre meno silenziosa. Nelle attuali società democratiche la maggioranza, lo aveva intuito Tocqueville e lo ribadiva Vittorio de Caprariis, tende a configurarsi in una massa « anonima, etero-diretta, tendenzialmente conformista e gregaria, più evoluta certo delle moltitudini di cent'anni fa, ma meno coltivata degli esigui gruppi di elettori di un tempo, preda facile di possenti emozioni, poco propensa all'istintivo controllo critico delle informazioni, incline alle soluzioni estreme come a quelle che meglio colpiscono l'imn1aginazione ed appaiono più semplici e più semplicemente traducibili in pratica, pronta alla ritirata più vergognosa ed alla crociata più risoluta, che vuole tutto ed il contrario di tutto, e l'uno e l'altro neilo stesso momento ». Di qui· la richiesta sempre più pressante che il giornalista sia essenzialmente lo« storico dell'istante », come diceva Camus, nonché la disponibilità sempre più manifesta, nonostante i facili schemi dell'oggettività o de «•i fatti separati dalle opinioni», ad un giornalismo più brillante che scrupoloso, più impressionistico che documentato, più informativo - sommariamente - che informato - seriamente -, più protestatario che critico. Questa richiesta, non meno di questa disponibilità, conferma che quella che comunemente si dice la crisi del giornalismo è soprattutto c;risi etico-politica. Se si pensa al contributo che nella storia del 8 Bib.liotecaGino Bianco

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