La m.arcia su Ro111a:consuntivo di una rievocazione ' è tuttavia inopportuno ricordare che, in contrasto con esse, sta la circostanza - certa e provata - che Vittorio Emanuele III, la sera del 27 e fino alle prime ore del 28 volle Io stato d'assedio, perché giustamente affermò che non avrebbe fatto un ministero sotto la violenza e che sarebbe finanche stato pronto ad abdicare. E risponde altresì a verità ciò che è ricordato non soltanto da Paratore, ma anche dal Bertone e dal Cingolani, che cioè il re inviò il generale Cittadini, suo aiutante di campo, al Viminale affinché presenziasse al Consiglio dei ministri per ribadire la volontà della Corona che fosse deliberato lo stato d'assedio. Che cosa sia accaduto poco appresso per far cambiare parere al sovrano, è rimasto tuttora un punto controverso della vicenda. Sembra che, tutto considerato, presenti assai maggiore fondamento di realtà il motivo esposto dallo scrivente: motivo che poggia su indizi solidi e concordanti: e cioè che Vittorio Emanuele III temesse non già la guerra civile - che era in atto da quasi due anni e alla quale lo stato d'assedio avrebbe rapidamente posto fine - ma la guerra dinastica, che si sarebbe potuta scatenare se le voci di una alleanza della Casa d'Aosta coi fascisti, pervenuta alle orecchie del re, fosse stata fondata. Si è detto sopra che questa è la versione più seria e fondata, che giustifica entro certi limiti la decisione regia di non dare corso allo stato d'assedio. A tale proposito lo scrivente ha anche posto in evidenza che la decisione regia veramente censurabile fu quella di non deliberare lo stato d'assedio quando Mussolini gli impose la propria designazione a presidente del Consiglio. Questo atto di sottomissione fu peggio di una abdicazione: fu un atto insensato e non degno di un capo di Stato, che giustamente il vecchio parlamentare Cocco-Ortu paragonò al gesto del Borbone, il quale, impotente a difendere lo Stato contro i briganti, aveva fatto poliziotti i briganti. Per concludere, non ritiene çhi scrive di passare sotto silenzio una grave affermazione del Grandi, che non può non destare stupore, perché detta, non da un qualunque fazioso gerarca, ma da uno dei pochissimi uomini politicamente qualificati che abbia avuto il regime. Si può anche concordare con lui nell'accusare di viltà taluni esponenti della destra parlamentare (si veda il suo articolo su Il Resto del Carlino del 10 ottobre 1922), ma non si può fare a meno di respingere decisamente la sua accusa di viltà contro la democrazia di allora. Perché vile la democrazia? Perché. i parlamentari e i dirigenti sindacali non circolavano armati o scortati da vigorosi gorilla? perché gli avversari disarmati soccombevano sotto le manganellate,· uno contro dieci? perché 123 Bi-bliotecaGino Bianco
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