Nord e Sud - anno XX - n. 166 - ottobre 1973

Antonino Repaci riscossa dei movimenti popolari potesse rimettere in discussione le posizioni di potere delle classi dominanti. In tal senso pertanto la controrivoluzione deve considerarsi « preventiva ». Il fascismo rappresentò certamente un «meglio» per codeste classi, non invece per il Paese; rispetto al precedente regime parlamentare non fu se non un innesto di sostanze ricostituenti per mantenere intatto - rafforzare anzi - il predominio di quelle classi, minacciato dalla proporzionale e dal conseguente avanzare dei ceti popolari. Vide giusto Piero Gobetti, quando proclamò che non valeva la pena di abbattere Mussolini per ritornare a Giolitti o a Salandra. Egli vedeva la rigenerazione dell'Italia, non già in un regime governativo - soprattutto se fondato sul manganello e sull'olio di ricino - quanto sull'edificazione di strutture ispirate a serietà politica e a dignità civile. E di serietà non può certamente affermarsi che il fascismo abbia dato la minima._ prova: anzi! Quanto afferma il Grandi, che cioè la maggioranza della popolazione italiana era coi fascisti, può essere come no: sta di fatto che nulla lo prova. E l'unica prova sarebbe stata quella della chiamata alle urne. Del resto lo stesso Mussolini non condivideva questo parere, come risulta da numerose sue affermazioni antecedenti alla « marcia » (valga per tutte quella in cui esclamò « Se torna Giolitti siamo f ... »); e più concretamente nell'essere ricorso alla _legge elettorale capestro nel 1924, abbondantemente condita da brogli e da violenze. Altro punto di divergenza è quello concernente il comportamento di Vittorio Emanuele III. Scrive il Grandi: È assai più probabile che lo spappolamento dell'intero edificio statale, la totale incapacità di un governo imbelle e da lui disprezzato, la solidarietà crescente tra forze armate e insorti, la minaccia incombente delle colonne fasciste alle porte di Roma, il favore della pubblfca opinione per gli insorti, lo spettro di una sanguinosa guerra civile che dalla proclamazione dello stato d'assedio sarebbe derivata e, infine, l'indecorosa viltà di cui la democrazia dava spèttacolo nel Parlamento e nel Paese, abbiano determinato la decisione del Re. Da non sottovalutare altresì l'irritazione del Sovrano per avere il governo proclamato pubblicamente lo stato. d'assedio prima di ricevere la firma reale, atto formale ma indispensabile. Chi scrive ebbe già occasione di confutare una per una le ipotesi prosp_ettate dal Grandi, e non ritien~ che sia il caso di ripetersi. Non 122 . BibliotecaGino Bianco

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