Nord e Sud - anno XX - n. 164-165 - ago.-set. 1973

Margherita I snardi Parénte Una venatura di donchisciottismo c'era certo in tutto questo; non per nulla il suo ex-libris giovanile, ancora visibile in molti volumi suoi personali e della biblioteca meridionalistica di palazzo Taverna, si ispirava, nonostante il motto fogazzariano ( « usque dum vivam et ultra » ), al cavaliere dalla triste figura; e uno dei suoi più intimi collaboratori, vicino a lui fino al giorno della sua morte, amò spesso scherzosamente paragonare la propria funzione nei suoi riguardi a quella di Sancho Panza. C'era pure, indubbiamente, una venatura di quel dannunzianesimo che colorì gran parte degli uomini della sua generazione, pur se dalla sostanza del dannunzianesimo del tutto alieni; cose tutte che dovevano rendere il suo linguaggio spesso difficile a intendersi agli uomini della generazione seguente, e ribadire negli ultimi anni il suo isolamento. Ma come questa venatura di estetismo potesse esser superata e come una certa vocazione estetica potesse sfociare anch'essa in forma sociale e attiva lo dimostra la sua operosità degli ultimi anni per « Italia nostra », associazione di cui fu pure presidente e vivace animatore; « Italia nostra » era in certo modo la sintesi di tutte le sue attività, quella che gli permise di dare alla sua vocazione estetica un robusto contenuto sociale e alla sua indefessa polemica contro la volgarità consumistica un indirizzo legato strettamente ai suoi interessi estetici. Una delle angosce che più lo oppresse nei suoi anni tardi fu quella causatagli dalla selvaggia distruzione del patrimonio artistico e paesistico; e chi scrive lo ricorda a Reggio, in quella parte alta della città ch'era stata un tempo Vallone Schiavone e ove ormai il Cipresseto, il complesso dei due villini appartenenti all'Associazione, languiva, fra le agavi del suo giardino, in mezzo a un brutale pozzo di cemento armato, e lo risente ancora dire, proprio là in quel luogo ch'era stato teatro delle sue prime appassionate opere di dedizione alla causa dei terremotati nel 1908, con tutta l'ira possibile nella sua voce flebile, accennando intorno a quello scempio di sfrenata speculazione: « ci vorrebbe un altro terremoto! » La sua stanza, al piano superiore di uno di quei villini, affacciata sulla terrazza invasa dal glicine dalla quale, fino all'inizio degli anni cinquanta, si poteva dominare e contemplare, incorniciato dai cipressi, il radioso panorama dello stretto, quella stanza tolstojana tutta fasciata in legno e con le pelli d'orso sul p~vimento, segno di Jasnaja Poliana, stanza di dacia in cui i variopinti pannelli calabresi alle pareti accendevano una nota di fantasia mediterranea, rischia oggi di essere distrutta insieme col Cipresseto, in omaggio a quelle esigenze di funzionalità e razionalità della società tecnologica ch'egli avversava; anche se, come avverrà, gli arredi ne verranno salvati e «imbalsamati» in una decorosa sistemazione ufficiale, essa può dirsi finita insieme col personaggio che espresse così efficacemente. 242 BibliotecaGino Bianco

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