Nord e Sud - anno XX - n. 164-165 - ago.-set. 1973

Margherita I snardi Parente qualche volta recalcitrante, a esigenze che gli parevano superflue o volgari, la biblioteca dall'aspetto seducente e moderno, i libri di nuova edizione, la sede accogliente e confortevole, la conferenza o tavola rotonda per attrarre il pubblico, convinto dell'irrilevanza di tutto quell'orpello e del suo carattere sostitutivo di valori interiori tramontati. Erano gli anni di massiccio sviluppo della nuova società del benessere, che implicava di necessità lotte in vista di obbiettivi pratici immediati, forme acute di protesta sindacalistica; egli ebbe con questa società opportunistica, edonistica, che sapeva protestare solo a proprio vantaggio, i suoi urti di cavaliere dalla spada immacolata, così come nei decenni precedenti li aveva avuti nei confronti di una classe politica rozza e brutale: le esigenze prammatistiche di questa nuova società urtavano profondamente la sua eticità aristocratica (quel fatto nuovo, ad esempio, che furono negli anni cinquanta gli scioperi degli insegnanti trovarono in lui un'opposizione così radicale da assumere talvolta quasi forme di incomprensione). Chi scrive ricorda la sua indignazione e quasi disperazione di fronte alla necessità di piegarsi a riconoscere, come un dato di fatto, la mancanza di offerta di lavoro volontario: « un tempo, dovunque andassimo, trovavamo non uno, ma dieci maestri disposti a lavorare per noi senza compenso » mi diceva con quella sua esile voce concitata, al mio ritorno dai vani giri di ricerca di un bibliotecario-missionario per le nostre sedi di lettura calabresi; e il rimprovero, oltrepassando quella volgare società opportunistica, veniva a colpire me, incapace_ di risuscitare nel suo ambito qualche residua energia morale. Avvezzo al lungo vivere alla giornata dei suoi anni eroici, all'individualismo romantico della sua lotta quotidiana, al supremo disinteresse delle sue dedizioni, non si rassegnò mai con indulgenza alla mediocrità delle aspirazioni materiali dei più, che considerò sempre, se non come il tradimento di una causa, almeno come un'addorrnentamento della coscienza; tanto più, questo, a mano a mano che in lui quella sorta di tensione eroica, negli ultimi tempi, andava assumendo la forma di una sfida alla vita ch'egli sentiva sfuggirsi. Molto della storia dell'Italia postbellica gli rimase in tal modo certamente estraneo; nello stesso tempo conservò una mirabile fede nelle energie etiche dell'individuo, unica forza nella quale veramente credette; e chi lo ricorda ora, nel momento in cui l'accavallarsi caotico e tumultuoso delle rivendicazioni settoriali sta rivelando sempre più scopertamente quella dissoluzione di ogni senso di missione pubblica ch'è la malattia della nostra società, non può non pensare a lui come al rappresentante di un mondo di valori irrisuscitabili, ma autentici. Di Franchetti, egli scrisse, in uno dei bellissimi saggi di cui si compone il libro dei suoi ricordi, uscito solo dopo la sua morte. Meridione 240 BibliotecaGino Bianco

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