Nord e Sud - anno XX - n. 159 - marzo 1973

Michele Ributti zione degli « opposti estremismi » o addirittura delle « identità degli opposti ». È innegabile che analizzando il comportamento dei gruppuscoli di sinistra e quello dei neofascisti sono rilevabili alcuni dati comwtl: il disprezzo per la cultura liberale e «borghese», l'individuazione dell'avversario politico come nemico personale, l'intolleranza per l'opinione altrui, il metodo squadristico dell'aggressione per eliminare fisicamente l'avversario politico, perfino una certa commistione semantica (alcuni gruppi di sinistra si chiamano « Avanguardia » alcune organizzazioni neofasciste « Fronte »). E, ancora, questa concezione dei giovani come inauguratori della storia e come veicoli delle grandi trasformazioni sociali, di cui non manca traccia nei gruppi di sinistra, è elaborazione tipicamente fascista: la falange, le guardie di ferro, il fascismo francese sono la storia di un costante appello alla gioventù e del richiamo alla sua funzione rigeneratrice. Eppure, prescindendo completamente da considerazioni strettamente giuridiche, di fronte alle quali, ovviamente, l'argomento non ha alcun peso, la distinzione tra le due violenze è nettissima sul piano sostanziale. Da una parte ci sono giovani che hanno intensamente vissuto l'esperienza storica del nostro tempo, facendo proprie tutte le speranz,e riposte nel progresso civile, politico e sociale dell'Italia e nella sua evoluzione in senso democratico e che queste speranze hanno viste miseramente naufragare in questi anni. Dalla cocente delusione provata, costoro, hanno dedotto il convincimento che nessuna azione riformistica può essere condotta in questo paese, che nessun rinnovamento democratico è lecito attendersi attraverso i tradizionali organi istituzionali e che, pertanto, non esiste altra alternativa che quella dell'opposizione radicale, totale, violenta al « sistema» o, magari, al « regime». Di qui l'incrollabile fede di possedere la verità, l'esigenza di riferirsi a modelli, il più possibili esotici e sconosciuti, nei quali ipostatizzare la società giusta e perfetta, il paradiso perduto; di qui il tentativo di emulare le Guardie Rosse, la scomposta illusione di scatenare la guerriglia urbana e di divenire la punta di diamante di un gigantesco movimento popolare e rivoluzionario. Certo la strategia prescelta e il metodo adoperato per condurre le lotte non pos,sono essere condivisi e devono essere risolutamente respinti, ma l'ansia di cambiare e di migliorare che ne è il presupposto non può non essere comune a tutti coloro, qualunque ne sia l'età, la matrice culturale, l'estrazione sociale, che non sono soddisfatti di vivere in un paese in cui nulla da molti anni muta ·Se non in peggio, ed in cui si è costretti a difendere con i denti, non dico la Costituzione, ma I'habeas corpus. Per quanto riguarda i neofascisti, invece, nulla di tutto questo: nessuna attenzione ai problemi sociali, nessun impegno culturale, nessuna elaborazione ideologica, nessun desiderio di rinnovamento; solo l'odio viscerale, fanatico, direi razziale, nei confronti dei « rossi ». Non è certo « la violenza dei padroni » quella che anima i giovinastri che infestano Piazza S. Babila e dintorni. Questi teppisti d'alto bordo, questa aristocrazia della malavita, ben vestita e ben· pettinata, non rappresentano niente e nessuno fuori che •se stessi e la propria bestiale ignoranza. La loro più grande preoccupazione è che i comunisti non gli tolgano le auto potenti e l'abito di buon taglio, il terrore che li angoscia 52

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